La tensione sociale dalle piazze alle aule

sabato 11 aprile 2015


Ma può essere mai vero che l’esplosione di follia avvenuta nel tribunale di Milano sia riconducibile al clima di discredito e di aggressione nei confronti della magistratura presente nel Paese? Con tutto il rispetto che si deve al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che nella sua reazione a caldo ha riecheggiato la tesi immediatamente lanciata dall’ex magistrato Gherardo Colombo, si deve sostenere senza mezzi termini che questa valutazione è profondamente sbagliata. Non solo perché il folle Claudio Giardiello non ha ucciso solo un magistrato ma anche un avvocato ed un ex socio. E lo ha fatto nella sua esplosione di paranoia non per contestare i simboli della giustizia ma per reagire ad una presunta mancanza di giustizia nei suoi confronti. Ma soprattutto perché il giudizio del capo dello Stato e dell’ex magistrato Colombo impedisce di comprendere l’indicazione più profonda e più drammatica espressa dalla strage di Milano.

I tribunali, cioè i luoghi dove si amministra la giustizia, sono diventati gli spazi ristretti dove si scaricano le crescenti tensioni sociali, economiche e politiche del Paese. Un tempo i luoghi dove si addensavano e si consumavano esplodendo le problematiche irrisolte collettive ed individuali erano le fabbriche e le piazze. Oggi questi luoghi sono i tribunali. È nelle aule dove si celebrano i processi, in particolare quelli civili, che si concentrano le rabbie, le paure, gli interessi, le passioni e, soprattutto, le paranoie collettive e personali. Ed è nelle aule di giustizia, dove si accumula la tensione generale provocata da un progressivo ed inarrestabile aggravarsi della crisi economica e della contemporanea pressione di uno stato capace solo di caricare sempre più pesantemente i cittadini dei costi materiali e morali della crisi, che avviene la fusione a caldo di tutti questi fattori.

Chi pensa che basti una qualche misura di sicurezza in più agli ingressi dei tribunali per tenere sotto controllo il fenomeno è un povero illuso. Il problema posto dalla strage di Milano non è di sicurezza e non richiede più agenti o più metal detector. È un problema sociale e politico. E sollecita come risposta non la denuncia di false persecuzioni nei confronti dei magistrati, che sono vittime di chi li ha trasformati in catalizzatori delle tensioni generali, ma la riduzione della pressione da parte dello stato a cui sono sottoposti i cittadini ormai da troppi anni.

Dal mondo della politica e della stessa magistratura non giungono segnali rassicuranti in questo senso. Al contrario, giungono spinte, pressioni e decisioni sempre più dirette ad aumentare in maniera indiscriminata la pressione a cui è sottoposta la società italiana. Questa pressione va allentata, non accentuata. Se questa necessità non viene recepita, il rischio di nuove esplosioni di rabbia e di paranoia è certo!


di Arturo Diaconale