In attesa dell’hashtag #Lupi, stai sereno

mercoledì 18 marzo 2015


Matteo Renzi ancora non ha inviato il suo “#Lupi stai sereno”. Si è limitato, non appena sono incominciate a circolare le prime indiscrezioni sull’inchiesta in cui è finito il ministro delle Infrastrutture, a far partire l’emendamento del governo che dovrebbe sbloccare l’iter della legge anticorruzione. Come a dimostrare che la sua determinazione a combattere ogni fenomeno corruttivo non può essere minimamente messa in discussione dall’eventuale scoperta di qualche mela marcia annidiata all’interno della compagine governativa.

Se l’inchiesta che ruota attorno al superpotente Ercole Incalza andrà avanti mettendo nei guai il ministro Maurizio Lupi, quindi, è certo che il Premier non esiterà un solo istante a lanciare il suo “stai sereno” all’esponente del Nuovo Centrodestra. Per toglierlo di mezzo e rendere evidente all’opinione pubblica del Paese che sul terreno della moralità il capo del governo non lo batte nessuno. Il comportamento di Renzi è sicuramente comprensibile. Il Presidente del Consiglio si preoccupa di non lasciarsi toccare dagli schizzi di fango che il circolo mediatico-giudiziario ha incominciato a lanciare a trecentosessanta gradi a seguito dell’inchiesta dei magistrati fiorentini sui grandi appalti. Ma costituisce anche una conferma di un aspetto della personalità del Premier che incomincia ad alimentare l’impressione, innanzitutto tra gli alleati di governo ma poi anche tra chi si trova a collaborare con lui, di avere a che fare con una persona del tutto inaffidabile. Con un personaggio, in sostanza, che non conosce lealtà e solidarietà se non nei confronti di se stesso e che compie le sue scelte non sulla base di convinzioni e princìpi stabili, ma sulla spinta dell’utilità personale del momento. Dalla pancia del Paese emerge un gorgoglio di protesta nei confronti della casta del magistrati? Ecco che il Premier veste i panni del garantista e dell’implacabile censore dei privilegi delle toghe, a partire dalle ferie troppo lunghe e della responsabilità civile per troppo tempo negata. Ma se dalla stessa pace del Paese viene fuori un gorgoglio di senso opposto diretto ad alzare la ghigliottina con cui sacrificare i corrotti ed i corruttori veri, presunti o inesistenti, ecco che il Fregoli di Palazzo Chigi si mette il cappuccio di Mastro Titta e taglia le teste di chiunque possa procurargli qualche danno, colpevole ed innocente che sia.

Si dice che questo sia il destino di ogni “uomo solo al comando”. Se vuole mantenere il proprio ruolo di massimo potere non può permettersi lealtà, amicizia e solidarietà nei confronti di nessuno.

Ma il prezzo di questo progressivo isolamento è che nel tempo la fiducia ed il consenso nei confronti della sua persona siano destinate a scemare. In uno stato autoritario tutto si risolve con qualche “cambio della guardia” e qualche campagna di rincorsa dietro gli umori contingenti dell’opinione pubblica. In un sistema democratico, a dispetto della minaccia di elezioni anticipate sbandierata di tanto in tanto per tenere a bada i più riottosi, l’eccesso di isolamento egocentrico del Premier può anche portare alla crisi di governo!


di Arturo Diaconale