La geopolitica è doppiopesismo

venerdì 13 marzo 2015


La coerenza è un valore sconosciuto alla geopolitica. Ciò non deve scandalizzare. L’importante è che l’opinione pubblica abbia consapevolezza di questa elementare verità.

Si prenda il caso dell’Ucraina e lo si rapporti a quello libico. Il presidente statunitense Barack Obama non perde occasione per denunciare il “dramma” dell’Ucraina. Lui arringa l’opinione pubblica occidentale parlando di desiderio di libertà e di affrancamento del popolo ucraino dal giogo russo. Per sostenerne le ragioni, gli Stati Uniti e la Gran Bretagna hanno cominciato a fornire armi a Kiev perché possa avere la meglio sulla serpe cresciuta in seno: i separatisti filorussi del Donbass. Per la propaganda occidentale è moralmente giusto dare le armi agli ucraini perché, opponendosi alle sedicenti pretese di Mosca, si sono schierati dalla parte giusta. Peccato però che quegli stessi desiderosi di integrarsi nella comunità occidentale non rinuncino a certi loro vizietti pericolosi. Hanno deciso, ad esempio, di celebrare l’anniversario della nascita di Petro Dyachenko. Il galantuomo, vissuto nel secolo scorso, per volontà del governo di Kiev verrà ricordato come eroe nazionale. Ma i dirigenti ucraini dimenticano che Dyachenko, come l’altro “eroe” ucraino Stepan Bandera, abbia combattuto durante la Seconda guerra mondiale dalla parte dei tedeschi. Come ufficiale aggregato alle SS, Dyachenko si macchiò di gravi crimini di guerra contro polacchi ed ebrei. Partecipò alla distruzione del ghetto di Varsavia, ovviamente dalla parte dei carnefici. Per il suo lavoro di collaborazionista fu premiato dal Führer con la croce di ferro. Scampò, nel 1945, alla vendetta dei sovietici. Riparato in Austria, ebbe l’astuzia di consegnarsi agli americani.

Ora, anche l’opinione pubblica deve bersi le fesserie della propaganda americana sulla libertà dell’Ucraina, mentre il nostro governo sarà obbligato, prima o dopo, a fornire armamenti all’esercito di Kiev con l’inevitabile conseguenza di bruciare decenni di buone relazioni con la Federazione russa. Tutto per dare manforte a un Paese che intende celebrare i suoi eroi filonazisti. Gli ucraini saranno pur liberi di osannare chi vogliono, ma cosa abbiamo da spartire noi con il loro revanscismo? Nulla. Sono passati oltre settant’anni ma ai ragazzi e alle ragazze di Salò, che ebbero il torto di trovarsi dalla parte sbagliata della barricata, non è stato ancora perdonato nulla. Altro che damnatio memoriae.

Invece, se Obama e soci lo impongono andiamo ad armare i neonazisti. Roba da matti. Ma tanta generosità non vale per tutti. C’è in Libia un governo legittimo che combatte il fondamentalismo quasi a mani nude. Da Tobruk il generale Khalifa Haftar, comandante dell’esercito regolare libico, ha inviato un disperato appello al nostro premier perché interceda presso la comunità internazionale e presso il Consiglio di Sicurezza allo scopo di rimuovere l’embargo sulle forniture militari in vigore dall’epoca di al-Qadhdhafi. Nel caso libico il presidente Barack Obama e il suo sodale britannico David Cameron non sono altrettanto solerti nell’appoggiare i combattenti libici per la libertà, perché a sostenere finanziariamente la controparte costituita dai miliziani islamici della coalizione “Alba Libica” e dal governo illegittimo di Omar al-Hassi ci sono Paesi strategicamente influenti come la Turchia, il Sudan e il Qatar. Per evidenti ragioni strategico-commerciali dare armi ai regolari suonerebbe, alle orecchie dei partner, come uno sgarbo. E allora tutta la solfa sulla “buona causa”, con cui ci hanno riempito la testa a proposito dell’Ucraina, che fine ha fatto? Per la Libia non vale.

Tutto questo ambaradan dimostra soltanto che è necessario badare ai propri interessi lasciando da parte la propaganda. In politica estera gli alti princìpi e i buoni sentimenti sono “chiacchiere che il banco non impegna”, come si dice dalle nostre parti. Prima le anime belle del governo prenderanno coscienza della realtà, meglio sarà per la sicurezza e per il futuro del nostro sistema sociale. L’Italia, innanzitutto.


di Cristofaro Sola