Gubitosi anticipa la riforma della Rai

martedì 10 marzo 2015


La Rai è sempre stata lo specchio riflettente della politica del Paese. È stata la voce del regime totalitario quando si chiamava Eiar. È stata la voce della democrazia bloccata del primo dopoguerra e, come contestavano le opposizioni di sinistra e di destra, la voce del “regime” democristiano. Ed è stata, dai tempi della riforma del ‘75 che spostò dal Governo al Parlamento il controllo del servizio pubblico radiotelevisivo, la voce del “regime” dei partiti. Sulla base di quella riforma seguirono la sostanziale tripartizione dell’azienda per aree politico-culturali (l’area cattolica perennemente governativa, quella laica e quella comunista) e la rigida lottizzazione di tutte le strutture e le articolazioni del servizio pubblico.

Il regime dei partiti, almeno nella sua forma risalente alla Prima Repubblica, è finito da un pezzo. Ed anche quello delle formazioni politiche della cosiddetta Seconda Repubblica è definitivamente tramontato. La riforma della Rai, dunque, è ineludibile. Ma che tipo di riforma? La proposta del Movimento Cinque Stelle è di cacciare i partiti dall’azienda pubblica per impedire che la Rai continui ad essere lo specchio della politica del Paese. Ma si tratta di una proposta demagogica ed irrealizzabile. Fino a quando l’azienda rimane pubblica e non viene totalmente privatizzata, il suo rapporto con la politica rimane incancellabile. E, allora, il quesito su quale tipo di riforma sia possibile rimane aperto. E rappresenta la vera difficoltà a cui si va incontro se si vuole effettivamente riformare la Rai trasformandola nello specchio della politica presente. Già, ma se il “regime dei partiti” è finito qual è il “regime” rispetto al quale la moderna Rai dovrebbe fungere da specchio?

Nessuno è in grado di dare una risposta a questo interrogativo, perché nessuno sa bene quale sia il sistema politico che si va faticosamente configurando attualmente. Il Parlamento, a cui la riforma del ‘75 attribuisce il controllo della Rai, continua ad essere centrale nel sistema politico o deve cedere il passo al Governo? E il processo di rafforzamento del potere esecutivo che si sta realizzando in maniera confusa e conflittuale è indirizzato a dare vita ad una sorta di premierato con pesi e contrappesi istituzionali o ad una sorta di regime autoritario magari camuffato ma sicuramente rigido?

Interrogativi così aperti imporrebbero una discussione ampia ed approfondita per definire come la nuova Rai possa essere lo specchio della nuova fase politica. Invece, a parte la provocazione dei grillini, tutto tace. E nel silenzio il duo Tarantola-Gubitosi, giunti a viale Mazzini non per concorso ma per indicazione di un Governo, quello di Mario Monti e dei suoi tecnici, figlio di una fase esaurita, ha avviato la propria riforma. Che, in nome dell’efficienza e del contenimento dei costi, disegna una Rai ritagliata sulle esigenze di un monopotere espressione della monocultura politicamente corretta.

Insomma, almeno per quanto riguarda la Rai, è la Rai che traccia il solco ed è il Parlamento che si trova di fronte allo stato di fatto e che lo segue. Renzi in testa, ovviamente ben contento di avere chi gli ha fatto in anticipo il lavoro sporco di trasformare il servizio pubblico nella sua “arma più forte”!


di Arturo Diaconale