E adesso Napolitano sta scoprendo le carte

sabato 13 dicembre 2014


Il Presidente della Repubblica ha parlato, ieri l’altro, all’Accademia dei Lincei. Giorgio Napolitano, ormai al termine della sua esperienza istituzionale, ha deciso di lasciare un segno concreto del suo passaggio. Le parole pronunciate, pesate col bilancino del farmacista, hanno avuto un chiaro obiettivo: uscire dalla cronaca per entrare nella storia. Ambizione legittima.

D’altro canto, lui non è un uomo qualunque. La sua vicenda personale lo ha visto stazionare, negli ultimi settant’anni, ai vertici della vita politica italiana. Come dimenticarlo? E’ stato un coerente militante di una parte e pensiamo che continui ad esserlo fino in fondo. E’ bastato ascoltarlo per comprendere quanto l’analisi proposta pecchi di indulgenza verso se stesso, e verso quelli del suo campo, e sia assai meno assolutoria nei confronti degli oppositori. Il mondo che Napolitano disegna è un eden che non esiste. Ma la fragilità di questo paradiso che sarebbe l’Italia, incastonata in un paradiso più grande quanto l’odierna Europa, non può essere semplicisticamente spiegata con la denuncia dell’esistenza di una forza occulta, distruttiva, “antisistema”, che ne vorrebbe minare le fondamenta.

E’ giusta l’idea che la politica incarni una quota dei valori alti a cui una comunità deve aspirare per svilupparsi nella pace e nel benessere dei suoi appartenenti. Tuttavia non è accettabile che, di fronte alla crisi della rappresentanza, la ricetta che propone Napolitano sia quella di considerare la contestazione al sistema come “patologia dell’anti-politica”. E’ possibile che, in un dato momento storico, il popolo reagisca anche con irrazionali manifestazioni di rigetto all’inconcludenza di una democrazia parlamentare mostratasi incapace di aggredire le cause di un crescente malessere sociale ed economico. Vale per il contesto nazionale, quanto per quello europeo. Se tanta gente mostra di percepire la partecipazione italiana all’Unione europea come la vita ridotta a una gabbia mortale di chi è la colpa? Di quelli che manifestano disagio o di coloro che hanno contribuito a creare un mostro? E’ forse patologicamente eversivo denunciare che una parte del paese, per effetto di politiche comunitarie sbagliate, sia alla fame e non abbia più ragionevoli speranze di futuro?

Napolitano ha richiamato le parole sulla “ricerca dell’ideale” pronunciate da un ideologo della libertà qual è stato Isaiah Berlin. Tuttavia, Berlin ha anche scritto che: “Il significato di libertà è libertà dalle catene, dall’essere imprigionato o reso schiavo da parte di altri...Battersi per la libertà significa cercare di rimuovere degli ostacoli; lottare per la libertà personale è sforzarsi di porre un freno alle interferenze…da parte di persone i cui fini non sono i nostri. La libertà, in senso politico, confina con l’assenza di prepotenza o di dominazione.” Ora, circolano in Italia forze la cui strategia può non piacerci. E’ nostro diritto contrastarle, ma ciò non ci autorizza a bollarli come eversori. Se davvero si avesse voglia di scovare coloro che avversano i fondamenti della nostra libertà, dovremmo cercarli altrove, al di fuori dei confini nazionali. E se qualcuno dichiarasse di battersi per ridare dignità e prestigio al nostro paese, sarebbe forse utopia o ragionevole speranza? Si può credere in un’idea condivisa, purtuttavia, non si perde, come individui, il diritto a opporsi a leggi ingiuste quando palesemente danneggino il benessere e la sicurezza della comunità. Libertà di popolo è anche diritto alle soluzioni estreme se il potere politico inganna. Il principio vale in ugual misura quando si è in presenza di volti simpatici e burloni come quelli dei “banditori di smisurate speranze” a cui però lui per primo, da presidente della Repubblica, ha dato fiducia. Una fiducia che adesso si rimangia.

E’ singolare che proprio Napolitano, dopo che ha messo l’Italia nelle mani di quei”… giovani all’inizio della loro esperienza parlamentare e di governo, cui sono giunti spesso senza alcun ben determinato retroterra”, oggi sentenzi che ribellarsi sia un atto eversivo. Piuttosto che analisi dubbie e claudicanti non sarebbe meglio una sana autocritica? Magari sugellata da due parole che da sole, quelle sì, lo catapulterebbero nella Storia d’Italia: “ Chiedo scusa”.


di Cristofaro Sola