Il Bel paese “visto” da Roma-Tor Sapienza

sabato 15 novembre 2014


La rivolta degli abitanti della borgata romana di Tor Sapienza non è un fulmine a ciel sereno. Piuttosto è la cronaca di una violenza annunciata. La gente comune, quella che di solito stenta a fare notizia, ha deciso di riappropriarsi del proprio destino mettendo in piedi uno scontro diretto, fisico, violento con i gruppi di immigrati clandestini che vivono accampati in un centro di accoglienza allestito nella zona. A costoro la popolazione addebita il peggioramento della condizione di degrado al quale è giunto il quartiere.

Dicono i cittadini che non ne possono più di vedere, ogni giorno, gli “ospiti” della struttura di accoglienza aggirarsi per le strade ubriachi. Alcuni di loro oltraggiano i passanti, rubano, distruggono i beni pubblici e molestano le donne. Le persone scese in piazza a protestare non posseggono granché. Hanno poco da difendere ma quel poco che hanno vogliono tenerselo stretto. Molti di loro non hanno lavoro e scaricano tra le mura domestiche il dramma economico e morale della disoccupazione. Fanno fatica a sopravvivere perciò non riescono ad accettare che persone aliene dalla loro storia, dal loro vissuto, dalla loro quotidianità, possano essere sostenute e nutrite dalla mano pubblica.

Quella stessa mano che si abbatte su di loro, sulle loro vite con inusitata violenza. Perché violento è il fisco che sottrae risorse oltre ogni limite di giustizia. Violenta è la burocrazia che rallenta all’inverosimile l’esercizio pieno dei diritti di cittadinanza. Violente sono le istituzioni locali che non partecipano agli sforzi per migliorare la qualità individuale e collettiva della vita. Violento è lo Stato che nega adeguata protezione e sicurezza alle persone tagliando i fondi alle forze dell’ordine da destinare al controllo del territorio. Violento è il terzomondismo della sinistra di governo che ha imposto alla società una forzosa convivenza interetnica deprivandola dei necessari processi d’integrazione. Violenti sono i media di regime che distorcono la verità al punto da trasformare le vittime in carnefici.

Ciò che crea scandalo nelle rivolta di Tor Sapienza non è solo la violenza, ma la disperazione scolpita sui volti delle donne scese in strada. Donne giovani e anziane che, affrancate dall’istinto pudico di madri, di figlie, di sorelle, di mogli, di lavoratrici, sfidano a testa alta e viso scoperto i simboli di un potere nemico perché lontano e assente. Era un po’ che non si vedevano persone disposte a battersi per qualcosa che avesse una valenza collettiva. Che servisse non soltanto il singolo individuo ma l’interesse di una comunità. Per i benpensanti tutto ciò rappresenta qualcosa di inaccettabile. La sinistra del melting pot mai avrebbe immaginato che la grande opera di mutazione culturale messa in piedi da decenni in questo Paese potesse essere respinta proprio da coloro che, si pensava, avrebbero dovuto assimilarla come maggiore facilità nel nome della solidarietà di classe. Talmente i profeti dalla società aperta sono rimasti spiazzati che non hanno saputo fare di meglio che liquidare gli insorgenti della periferia come razzisti, xenofobi e fascisti. Per i sacerdoti del relativismo culturale l’unica risposta possibile ai fatti di Tor Sapienza poteva essere, com’è stata, disprezzo e indifferenza. D’altro canto, cosa avrebbero potuto condividere gli ascari dell’“incontro etnografico” con una massa di incolti che hanno avuto l’ardire di non volere essere contaminati. Le istituzioni pubbliche, prese in ostaggio dalle anime belle della sinistra, se la sono squagliata da Tor Sapienza, lasciando che se la sbrigassero poliziotti e carabinieri equipaggiati in assetto antisommossa.

Resta da chiedersi se la rivolta della borgata romana rimarrà un fatto isolato o se è solo il principio dell’incendio. Se, come pensiamo, Tor Sapienza è specchio e metafora della disperazione italiana, quelle scene di violenza, piaccia o no, saremo costretti a vederle ancora. Se il nucleo centrale della società, protetto dalla politica, continuerà ad arroccarsi nella difesa dei suoi privilegi, le periferie saranno destinate a trasformarsi da entità geografiche del disagio in luoghi ideali del riscatto. È questo il sogno che ci stai regalando, signor Renzi?


di Cristofaro Sola