venerdì 14 novembre 2014
Ma quale dovrà essere la principale caratteristica del Presidente della Repubblica che verrà eletto nel bel mezzo dell’Era renziana? Pare che l’ennesima rivisitazione del Patto del Nazareno preveda che il successore di Giorgio Napolitano debba essere comunque espresso da un’intesa tra Renzi e Berlusconi. Ma è difficile pensare che questa intesa sia stata già sottoscritta e che al termine dell’ennesimo incontro il Presidente del Consiglio ed il Cavaliere abbiano già scelto il nome del prossimo Capo dello Stato.
Dunque, il profilo del prossimo inquilino del Quirinale è ancora tutto da definire. Tranne un aspetto, che emerge con assoluta chiarezza alla luce del rapporto che si è venuto a creare tra il Colle e Palazzo Chigi da quando alla guida del Governo è arrivato il giovane e rampante segretario del Partito Democratico. Questo rapporto è stato e continua ad essere di tipo diarchico. Nel senso che il Presidente della Repubblica ha continuato ad interpretare il proprio ruolo nel modo indicato dalle modifiche materiali subite dalla Costituzione nell’ultimo ventennio e si è comportato come se invece di una Repubblica parlamentare la nostra fosse diventata una Repubblica presidenziale.
A sua volta, il Premier nonché leader del Pd ha trasformato il proprio ruolo di guida del Governo come se al momento del suo avvento a Palazzo Chigi fosse stata approvata una riforma istituzionale ed introdotto il premierato nel nostro sistema politico. Viviamo, di fatto, in un sistema diarchico. Di cui nessuno ha ancora piena consapevolezza e che fino a questo momento non ha prodotto eccessive frizioni tra i due diarchi. Ma che esiste e funziona a dispetto delle intenzioni dei Padri Costituenti, che avevano alle spalle l’esperienza della diarchia tra Re e Duce e con la Carta Costituzionale volevano evitare non solo la ripetizione della dittatura, ma anche quella della coabitazione ai vertici dello Stato.
Ma la diarchia di Napolitano e di Renzi non è destinata a durare all’infinito o fino a quando qualche trama di Palazzo riesca a togliere di mezzo uno dei due padroni del vapore. È a tempo. Durerà fino a quando Napolitano non rassegnerà le dimissioni già annunciate all’atto della sua seconda elezione. Di qui l’automatica e facile previsione su quale dovrà essere la principale caratteristica del successore di “Re Giorgio”: non potrà avere il profilo di politico navigato ed autorevole del proprio predecessore e non dovrà fare alcuna ombra al Premier ormai liberato dall’incombenza della coabitazione al vertice del Paese.
Il futuro Presidente della Repubblica, quindi, per essere adeguato all’Era renziana, dovrà obbligatoriamente essere una creatura del suo principale elettore e dovrà tornare ad essere un semplice “notaio” della Costituzione senza la pretesa di occupare alcuno spazio del potere esecutivo. Si dirà che l’ingresso al Quirinale provoca anche al più misurato o slavato personaggio politico la sensazione di essere diventato l’erede di Pio IX e Vittorio Emanuele II messi insieme. Ed è proprio per questa ragione che nell’Era renziana il successo di Napolitano dovrà essere talmente modesto e privo di una sua particolare autorevolezza da non far correre alcun rischio di impazzimento rispetto al suo principale elettore.
Applicando questo schema diventa automatico procedere all’esclusione di gran parte dei nomi che ruotano vorticosamente nel toto-Quirinale. Il Premier non vuole ombre. Di conseguenza, se si vuole cercare di individuare i nomi dei possibili successori di Napolitano è bene incominciare a selezionare le ombre che non lasciano orme. Cioè solo gli ominicchi ed i quaquararaquà. Magari di genere!
di Arturo Diaconale