I tassatori al Governo: neolingua politichese

martedì 4 novembre 2014


Contrapposta a Piero Ostellino, nel corso del talk-show condotto su La7 dalla rediviva Lilli Gruber, Debora Serracchiani ha dato sfoggio di un politichese tutto nuovismo e buone intenzioni.

Una sorta di neolingua renziana ad uso e consumo di un popolo sempre più confuso, in grado cioè – usando un concetto freudiano – di utilizzare la parola come delirante strumento di onnipotenza. Tant’è vero che la rampante avvocatessa romana, esponente molto camaleontica del Partito Democratico, ha dispensato a piene mani il termine che va tanto di moda nel teatrino della politica: cambiamento. Un termine, ahinoi, che troppo spesso i professionisti del bene come la Serracchiani spacciano per qualcosa di profondamente rivoluzionario, quando in realtà esso si traduce inevitabilmente in un ribaltamento di poltrone a beneficio degli stessi, interessatissimi filantropi di bottega.

Tanto è vero che la stessa presidentessa del Friuli Venezia Giulia nel novero dei cambiamenti epocali realizzati dall’attuale Governo ha inserito l’innalzamento della tassazione sulle cosiddette rendite finanziarie, altra esemplare definizione – quest’ultima – appartenente alla succitata neolingua politichese.

Se infatti si chiamassero le cose col loro nome, in questo caso il risparmio degli italiani, sarebbe più facile smascherare la falsificazione concettuale che si cela dietro il rivoluzionario, questo sì, utilizzo della parola.

Invece, l’idea della rendita finanziaria evoca nell’immaginario collettivo il bieco egoismo sociale di oziosi Paperoni, dediti ad accrescere continuamente i loro immensi patrimoni, magari all’ombra di qualche accogliente paradiso fiscale. In questo modo, facendo leva su un vecchissimo pregiudizio fondato sull’invidia sociale, i politicanti al pari della Serracchiani tendono a mistificare la gravissima offensiva che l’Esecutivo dei rottamatori sta conducendo ai danni del risparmio. Una offensiva la quale, nonostante un prelievo complessivo che oramai si aggira intorno al 30 per cento, non sembra ancora conclusa, visto che lo stesso Premier non perde occasione per sottolineare un molto presunto eccesso di risparmio nel nostro sistema economico.

Incuranti del fatto che il medesimo risparmio rappresenta una fonte fondamentale per il finanziamento delle imprese, gli spregiudicati interpreti di un cambiamento rigorosamente semantico sembrano aver trovato una nuovo filone di risorse con cui alimentare la loro vorace democrazia acquisitiva.

E se mettere le mani nelle tasche degli italiani costituisce oramai un’operazione politica di retroguardia, salassare gli investimenti di qualunque natura e dimensione risulta assai più al passo coi tempi del renzismo dilagante. Poveri noi.


di Claudio Romiti