La sinistra “vecchia” e quella “inadeguata”

martedì 28 ottobre 2014


Stiamo freschi se il Partito della Nazione di cui parla Matteo Renzi sarà composto dai vip e dai manager che hanno affollato la Leopolda e dai lavoratori che hanno cantato a piazza San Giovanni “bella ciao” insieme con Susanna Camusso.

Stiamo freschi non perché tra il vecchio Partito Democratico di Roma ed il post-Pd di Firenze c’è un’incolmabile differenza, non solo politica e culturale ma anche e soprattutto antropologica. Fino a quando Renzi continuerà ad avere la fortuna di non doversi confrontare con qualche antagonista credibile, i pezzi vecchi e nuovi del Pd continueranno a restare incollati dal mastice della certezza della vittoria elettorale. I guai verranno dopo, quando Renzi dovrà fatalmente rallentare la sua spinta populista tesa al successo immediato. Perché al momento in cui il vento non sarà più in poppa ed il mastice della vittoria certa si allenterà, i due pezzi del Pd entreranno fatalmente in collisione con conseguenze facilmente individuabili.

Stiamo freschi non perché il futuro ci riserva l’inevitabile lacerazione di un Partito della Nazione che non è ancora nato. Perché il presente è segnato dalla considerazione che la parte vecchia del Pd post-comunista e quella nuova del Pd renziano risultano essere l’una superata e l’altra del tutto inadeguata.

È quasi inutile rilevare come sabato scorso a piazza San Giovanni si sia celebrato un rito vecchio e stantio che non è riuscito ad alimentare alcuna speranza di poter far uscire il Paese dalla crisi ricorrendo alla ricetta delle passate liturgie post-comuniste. Su questo punto ha perfettamente ragione Renzi quando ribadisce che non si farà fermare dal vecchio che resiste ad oltranza.

Ma se da piazza San Giovanni è giunta la conferma che la sinistra nostalgica non può in alcun modo condurre l’Italia fuori dalla peste attuale, dalla Leopolda è emerso con lampante evidenza che il post-Pd renziano, a dispetto del sostegno assicurato dai vip e dai finanzieri in passerella, non è in grado di produrre nulla di innovativo al di fuori dell’uso dei social al passo con i tempi. Non un’idea, non un progetto, non una linea strategica degna di questo nome, non una qualche visione del futuro del Paese ma, al massimo, la rimasticatura delle ricette del passato, quelle di piazza San Giovanni, sia pure in una versione riveduta e corretta in chiave renziana.

Stiamo freschi, allora, se il post-Pd rottama il vecchio Pd ma non riesce in alcun modo, come la Legge di stabilità del Governo insegna e come l’intera linea politica portata avanti da Renzi dimostra, a fornire qualche innovazione reale oltre alla richiesta (questa sì, rivoluzionaria) di affidarsi alla fortuna ed alle sole mani del Premier.

Per stare più caldi, allora, non rimane che denunciare l’equivalenza tra il vecchio Pd ed il falso nuovo Pd e sperare in una rottamazione complessiva dell’uno e dell’altro. Il tutto, però, incominciando a prendere coscienza che non sarà il fallimento futuro di Renzi a determinare la formazione di un’alternativa credibile ad una sinistra condannata a seguire sempre e comunque la vecchia linea del più tasse, più welfare. L’alternativa nasce solo attorno ad una rottura autentica con il passato, che non è solo “bella ciao”, ma anche l’uso spregiudicato del potere che Renzi sembra aver perfettamente ereditato da Massimo D’Alema e dalla vecchia guardia.

L’alternativa, in sostanza, non può nascere a sinistra. Ma solo da chi con la sinistra vecchia e nuova non ha nulla a che spartire e ha la capacità di proporre un progetto di società che faccia uscire l’Italia dall’eterno secondo dopoguerra e la proietti finalmente nel terzo millennio.


di Arturo Diaconale