Televisione e politica: week-end da studiare

mercoledì 22 ottobre 2014


Il colpo di gong l’ha dato l’altro Matteo (Salvini) facendo sfilare a Milano centomila persone. Matteo, quello della Lega, era ritornato nella “sua” città e la Lega con lui. Ma, guardando bene le immagini televisive,erano persone molto diverse dalle solite “leghiste”. Erano cittadini, mescolati a qualche simbolo d’antan ma non identificabili, come i maverick del West: persone non catalogabili, e dunque, normali. Questo è il dato di fondo. Da qui occorre partire per capire bene ciò che quelle immagini, di quelle persone, hanno rappresentato e rappresentano. L’altro Matteo (Renzi) è andato da Barbara D’Urso, anzi da Barbara soltanto, con un duetto che ha stupito solamente coloro che, come Beppe Grillo, sono convinti che basti il web, seguito dalla tv, a “fare” politica. E la stranezza sta nel fatto che Grillo è, anzi, era, un eccelso showman cui il successo “politico” ha dato alla testa al punto tale da rendergli alieno proprio quel medium che l’ha visto primeggiare.

Una volta c’era Grillo, si potrebbe dire, sol pensando alla gaffe tremenda commessa l’altra domenica, davvero bestiale, che gli fece preferire una kermesse egolatrica a Circo Massimo piuttosto che il suo rinvio e l’adesione corale del Movimento 5 Stelle (M5S) alla Genova infangata. In tv gli errori si pagano, tanto più cari e tanto più salati quando vi si aggiungono quelli della politica, o meglio, del rifiuto della politica, nella convinzione che bastino i surrogati di televisione e web. In questo senso, l’ultimo week end è una lezione, un manuale. Il Matteo che cinguettava domenica da Barbara era bensì un allievo del Silvio, sia della discesa in campo sia del famoso “Patto con gli italiani” da Bruno Vespa, ma possedeva le doti dell’esperienza dello strumento, al punto da doppiarsi in comiziante e presentatore dei break senza soluzione di continuità. Facile, in un salotto ad hoc. E certo, gli assist dell’amica Barbara c’erano, eccome, sì da poter concludere lo show con lo scoop, in una proposta a sorpresa con la “mancia del bebè”, sommando il messaggio del format con quello politico. Eccoci allo snodo vero.

La politica di oggi, e precisamente negli sviluppi renziani, procede sempre più spedita nell’opera di svuotamento della sinistra e in parte del centro (vedremo fra poco) nella misura con la quale non si sottomette al medium ma lo guida, lo cavalca, determinandone un messaggio più ampio e complesso ma funzionale al disegno di fondo. Che è, appunto, politico. Come se il leader “doppio” del Partito Democratico (Pd) e del Governo sottoponesse il primo al secondo esaltando questo attraverso la televisione, piegandola ad una curvatura sempre più ampia, fino al punto da rinchiudere il diverso dal Pd. Renzi, in altri termini, progetta un piano che tenta di semplificare il panorama della “polis” con la costruzione di un vasto blocco eterogeneo centrale fiancheggiato da una sinistra alla Landini-chè, Grillo ha congelato nel nullismo un blocco parlamentare in preda a convulsioni faticosamente mimetizzate e da una destra alla Salvini. Il taglio delle ali, si vorrebbe dire, una sorta di neo Democrazia Cristiana (Dc) destinata a mantenere una leadership nel paese a lungo. Proprio perché le due ali, estreme ed estremiste non possono contestargli e occupargli quel ruolo.

Tant’è vero che l’altro Matteo milanese, capita l’antifona, ha abbandonato la frusta panzana della Padania per inoltrarsi nel vasto territorio nazionale ponendosi, come il Premier ma alla stregua della Marine Le Pen, nel ruolo di inglobatore dell’altra destra e, soprattutto, del centro. Si tratta, ovviamente, di una simmetria per ora geometrica, con quell’astrattezza che possiede ogni schema, ma giovandosi, da entrambi i due Matteo, della crisi del centro chiamiamolo così di stampo berlusconiano, compreso lo stesso Nuovo centrodestra (Ncd) e anche la Fratelli d’Italia (Fdi). La tv domenicale ha, per dir così, simbolizzato questo quadro, completandolo con le immagini impietose di un centro frammentato, dove soltanto l’ottimismo della volontà di Berlusconi al telefono ha cercato di rianimarlo. Impresa ardua perché lo stato delle cose e lo spirito dei tempi suggeriscono pessimismo. A meno che... A meno che l’intera area che Renzi vorrebbe espropriare non si renda conto, fino in fondo, del rischio che corre. E che corre la politica in se stessa.

Non a caso il Cavaliere ha sottolineato il tema della giustizia come prioritario, a fianco dell’economia, cui di certo non bastano né vaghe riforme né le mance al bebè. Lo stato della giustizia. È il tema di fondo più attuale che mai, un prezioso asso nella manica da giocare sulle macerie dei tanti talk, a cominciare da quello santoriano, ma non solo, che simbolizzano, a loro volta e con la potenza delle immagini, la fine di un ciclo che aveva fatto della giustizia un Campo di Marte sanguinolento e patibolare. Marchiando un ventennio di giustizialismo giacobino che aveva come obbiettivo l’eliminazione del Cavaliere senza accorgersi che, come Tafazzi, annientava sé stesso, e i suoi cantori televisivi. Ma non mettiamoci parola fine. Semmai, è un nuovo inizio.


di Paolo Pillitteri