mercoledì 15 ottobre 2014
Nella mia qualità di Presidente del Tribunale Dreyfus ero convinto che la seconda udienza svoltasi lunedì pomeriggio al Tempio di Adriano della Camera di Commercio di Roma avrebbe esaurito l’esame della vicenda dei marò da parte dell’Alta Corte presieduta dal professor Federico Tedeschini. Invece due fattori hanno spinto a tenere ancora aperta la questione ed a rinviare ad un momento successivo la conclusione del dibattimento dedicato ai due fucilieri di Marina che aspettano da due anni e mezzo di essere sottoposti ad un giudizio da parte della magistratura indiana.
Il primo di questi fattori è stata la testimonianza dell’ex ministro degli Esteri Giulio Terzi che nel rispondere alle domande degli avvocati Valter Biscotti ed Agostino Mazzeo ha denunciato come la decisione di riconsegnare i due marò alle autorità indiane, pur in presenza di ragioni giuridiche (e anche eventuali iniziative della magistratura) e politiche che avrebbero giustificato il loro mancato rientro in India, sia stata provocata da motivazioni di opportunità economica. La sensazione che i due fucilieri di Marina fossero stati sacrificati sull’altare degli interessi commerciali, primo fra tutti quelli di Finmeccanica impegnata nell’affaire degli elicotteri Agusta, era ben diffusa prima della udienza di lunedì del Tribunale Dreyfus.
Ma le parole di Terzi hanno sgombrato ogni residua perplessità. E giustificato la decisione di approfondire ulteriormente la vicenda cercando di poter ascoltare nelle prossime udienze le testimonianze non solo dell’ex Presidente del Consiglio, Mario Monti, ma anche dell’ex ministro dello Sviluppo Economico, Corrado Passera.
A questo fattore teso all’accertamento definitivo della verità si aggiunge, però, un secondo fattore che rende ancora più necessaria l’attenzione sul caso dei marò. Si tratta della constatazione che la vicenda viene progressivamente e volutamente “silenziata” dalla grande informazione nazionale. Girone, trasformato in ostaggio in India, non suscita l’attenzione dei grandi media normalmente attenti a qualsiasi caso mondiale ricadente nella categoria del politicamente corretto. E per Latorre solo l’irrompere di una grave malattia ha smosso per qualche istante la coltre di indifferenza con cui la vicenda era stata coperta.
È probabile che a spingere nella direzione del disinteresse sia il pregiudizio ideologico di cui è impermeata gran parte dell’informazione nazionale che considera i fucilieri di Marina impegnati in una missione internazionale come gli epigoni dell’imperialismo occidentale. Ma accanto a questa ridicola manifestazione di terzomondismo d’accatto c’è qualcosa di più e di più grave.
C’è la constatazione che quelle motivazioni economiche che spinsero Monti e Passera a rinviare in India Latorre e Girone siano diventate una sorte di ordine di scuderia per la grande informazione italiana. In particolare per quella che dipende da gruppi industriali e finanziari a cui non interessano le ragioni umanitarie e di giustizia che stanno alla base del caso dei marò, ma solo la possibilità di rientrare (o rimanere) nel mercato indiano.
Nessuno si scandalizza per l’esistenza di simili interessi. È più che legittimo che le ragioni economiche di singoli e di un Paese vengano tutelate. Ma è inaccettabile che un’informazione pronta a sventolare la bandiera della moralità, dell’etica e della virtù ad ogni occasione politicamente corretta non avverta il dovere civile di ricordare che accanto alle ragioni economiche ci sono anche quelle umane.
Bucare il muro dell’indifferenza e del silenzio sui diritti degli individui è una buona battaglia per il Tribunale Dreyfus!
di Arturo Diaconale