venerdì 10 ottobre 2014
Da uomo solo al comando Matteo Renzi è diventato un uomo più solo al comando.
Mercoledì notte il Governo ha ottenuto la fiducia sulla delega alla riforma del lavoro, confermando il ruolo di guida del Paese del Presidente del Consiglio. Ma questa conferma ha avuto un prezzo molto alto. La frattura tra il Premier e la minoranza interna del Partito Democratico si è allargata e con ogni evidenza è diventata incolmabile. E la diffidenza con cui i partners europei guardano all’Italia si è sicuramente accresciuta. Non tanto a causa delle sceneggiate realizzate dai senatori del Movimento Cinque Stelle e della Lega Nord nel corso del dibattito a Palazzo Madama, sceneggiate che non turbano affatto gli smaliziati rappresentanti degli altri governi europei. Quanto a causa dei dati reali della situazione economica, produttiva ed occupazionale del nostro Paese che, a dispetto di tutte le promesse e degli annunci lanciati a ritmo quasi giornaliero da Renzi nel corso dell’ultimo anno, non sono migliorati neppure di un decimale ed, anzi, vanno progressivamente peggiorando.
Naturalmente il Premier può anche irridere i patetici contorsionismi di una minoranza interna destinata alla definitiva rottamazione. E sperare che gli altri governi europei, in primo luogo quello tedesco, decidano di continuare a dare credito ad un Presidente del Consiglio che oltre al grande fumo prodotto in continuazione in questi mesi non è riuscito a servire alla tavola della Ue neppure una misera fettina di arrosto. È pura follia, infatti, pensare di convincere la Cancelliera Angela Merkel che la riforma del mercato del lavoro è ormai varata quando tutti sanno, in Italia ed a Berlino, che lo Jobs Act è ancora una scatola vuota e che i suoi eventuali effetti non potranno essere operativi prima della fine del 2015.
Ma irridere i rottamati e continuare a sperare nel credito in via di esaurimento dell’Europa non cambia la condizione di maggiore isolamento in cui si è venuto a trovare Renzi dopo il voto dell’altra notte. Un isolamento che può non impensierire il Premier almeno fino a quando il patto del Nazareno continuerà a reggere ed a produrre come effetto principale quello dell’opposizione costruttiva di Forza Italia. Ma che potrebbe diventare un vero e proprio incubo nel momento in cui l’accordo con Silvio Berlusconi dovesse saltare per qualsiasi motivo.
L’uomo più solo al comando, infatti, da mercoledì scorso è diventato più dipendente dal Cavaliere, che proprio evitando di far scattare una dose massiccia di “soccorso azzurro” a sostegno del partner del Nazareno, ha messo in evidenza quanto la sorte del Governo sia condizionata dalle scelte di Forza Italia. Al momento l’interesse del centrodestra berlusconiano non è di provocare la caduta del Governo, ma di favorire riforme che logorano il blocco sociale della sinistra e di aspettare una riforma della legge elettorale senza la quale andare alle urne sarebbe rischioso. Ma fino a quando questo interesse potrà durare? E se dopo la legge elettorale ed un’eventuale riabilitazione politica di Berlusconi da parte della Corte di Strasburgo questo interesse dovesse scomparire?
L’aumentata solitudine dell’uomo al comando comporta questi rischi. Ma anche un pericolo maggiore. Quello che anche il corpo elettorale incominci a rendersi conto che Renzi non è l’unica speranza per uscire dalla crisi, ma l’ultima espressione della crisi stessa!
di Arturo Diaconale