mercoledì 8 ottobre 2014
Nel firmamento della destra italiana è apparsa una nuova stella. Si chiama “Altra destra” e nasce dall’iniziativa della consigliera comunale di Roma, Sveva Belviso, fresca fuoriuscita dal partitino di Alfano. La Belviso se n’è andata dal Nuovo Centrodestra sbattendo la porta. Nella conferenza stampa di presentazione del suo movimento non è stata tenera con gli ex compagni di viaggio. Li ha accusati senza mezze parole di aver impresso una svolta centrista al partito che, nei propositi, avrebbe dovuto costituire la risposta innovativa a una domanda di destra che permane nel Paese.
Anche lei, come tutti gli altri esponenti che se ne contendono la guida, non ha fatto mistero di puntare a conquistare il consenso di quei nove milioni di italiani che dal 2008 a oggi hanno progressivamente abbandonato il fu Partito della Libertà. Costoro si sarebbero orientati verso offerte politiche alternative, come il movimento di Grillo o semplicemente sono rimasti a casa il giorno delle elezioni. E più di qualcuno si sarebbe lasciato sedurre dal fascino affabulatorio del giovane Renzi. Dunque, giustificato proponimento quello della Belviso. Il fatto è che dovrebbe prendere il numeretto e mettersi in fila, visto che prima di lei c’è una folla di pretendenti “all’eredità Ferramonti”.
Del resto, sarebbe sciocco negarlo, il colpo giudiziario subito un anno orsono da Berlusconi ha accelerato quel processo centrifugo comunque innescato al momento della nascita del Popolo della Libertà. Attualmente, la lista delle “anime” della destra italiana è piuttosto nutrita. Da La Destra di Francesco Storace a Fratelli d’Italia-Alleanza Nazionale di Giorgia Meloni, già attivi sulla scena, al progetto finiano di dare vita a una “Costituente per l’Italia”, alle peregrinazioni velleitarie di Corrado Passera – “La destra sono io” – alle contorsioni centriste di Alfano, Mauro e compagni. Senza contare la “strana creatura” tentacolare che è il mondo dei club “Forza Silvio”. E non dimentichiamo l’ambizioso progetto leghista di Matteo Salvini, che meriterebbe un ragionamento a parte.
Inoltre, si intravede all’orizzonte una linea di faglia destinata a provocare il distacco di altre masse rocciose che un tempo erano parte del blocco granitico del movimento berlusconiano. È fin troppo evidente che la strada scelta dal vecchio leader di Arcore di sostenere un’opposizione costruttiva a Renzi non sia condivisa da tutti all’interno di Forza Italia. I più non lo dicono. Tutti, però, temono che, così procedendo in un comportamento parlamentare che appare a dir poco schizofrenico, alla fine si vada dritti verso il disastro. È dunque lecito chiedersi se l’iniziativa di Belviso sia da giudicare positivamente o, invece, vada stigmatizzata come un altro colpo basso sferrato contro la flebile speranza di una destra nuovamente unita. Non v’è dubbio che la spinta alla superfetazione metta in luce una realtà che solo la potenza comunicativa e organizzativa del miglior Berlusconi, negli anni Novanta della “Seconda Repubblica”, era riuscita a neutralizzare. In natura non è mai esistita una sola destra. Se la forza evocativa del leader carismatico aveva colto l’obiettivo di tenere tutte le “anime” sotto lo stesso tetto, la crisi di risultati concretamente apprezzabili nell’azione di governo le ha messe in libera uscita. Ciò rende oggi più difficile la riunificazione.
Tuttavia, se la creazione di nuovi soggetti servisse a riaccendere nell’opinione pubblica la voglia di tornare a occuparsi dei propri destini attraverso la discussione e la militanza politica, allora anche l’iniziativa di Sveva Belviso dovrebbe essere benvenuta. Soprattutto se, come obiettivo immediato, il suo movimento si proponesse di drenare quelle realtà del Nuovo Centrodestra di Alfano che rischiano di venire travolte dallo scivolamento del partito verso posizioni sempre più ancillari alla sinistra renziana. Si tratterebbe quindi di mettere in pratica l’insegnamento del generale prussiano Von Moltke: “Marciare separati, colpire uniti”.
Ebbene, perché la strategia funzioni è necessario che vi sia un unico leader, riconosciuto da tutti. Tanto più se il meccanismo elettorale dovesse confermare, ai fini della vittoria, la necessità di comporre coalizioni. Se non potrà più esserlo il vecchio leone di Arcore, è giusto guardarsi intorno e incominciare a pensarci. È certo che un capo vero, non un manichino di gommapiuma, non lo si fabbrica in una notte. E l’alba non è poi tanto lontana.
di Cristofaro Sola