“Controprocessi” ed obiettivi del Dreyfus

martedì 7 ottobre 2014


La tecnica del controprocesso adottata dal Tribunale Dreyfus produce risultati importanti. Nelle due prime udienze del ciclo di attività di ottobre, che si sono svolte al Tempio di Adriano della Camera di Commercio di Roma e che sono state dedicate al caso marò ed al caso Storace, sono emerse verità inedite. Sul caso marò la testimonianza di Antonio Tajani, ex commissario europeo ed attuale vicepresidente del Parlamento Ue, ha dimostrato come i governi italiani, a partire da quello di Mario Monti, non abbiano mai investito le autorità europee di una questione che non può avere confini domestici o bilaterali ma che è squisitamente internazionale.

A loro volta, le testimonianze del generale Leonardo Tricarico e del generale Fernando Termentini hanno messo in evidenza come gli organismi preposti ad affrontare le crisi non siano stati mai attivati a Palazzo Chigi (sempre in epoca Monti) e come la magistratura italiana, benché investita da numerosi esposti, abbia accuratamente evitato di intervenire per promuovere un’iniziativa giudiziaria che avrebbe potuto impedire il rientro in India dei marò dopo il temporaneo rientro in Italia per la pausa natalizia.

Indicazioni altrettanto utili sono emerse dalle testimonianze di Roberto Giachetti, di Giuseppe Rossodivita e di Massimiliano Smeriglio sul caso di Francesco Storace accusato di vilipendio al capo dello Stato. I tre intervenuti hanno dimostrato come negli ultimi anni il Presidente della Repubblica abbia subito ogni genere di insulti provenienti dai soggetti più diversi. Ma solo per Storace è partita la procedura giudiziaria? Perché?

Nelle prossime udienze del 13 e del 23 ottobre il Tribunale Dreyfus cercherà di approfondire le questioni ascoltando altri autorevoli testimoni. Ma un primo risultato è stato conseguito. È stato verificato come la formula del controprocesso riesca a bucare la coltre di conformismo e di disinformazione che troppo spesso copre i casi di giustizia denegata o ingiusta.

L’esperienza del 3 ottobre, quindi, impone di continuare ad andare avanti e di affrontare con lo stesso metodo i casi che meritano di essere esaminati o riproposti. Ma, soprattutto, suggerisce di realizzare i controprocessi nei luoghi dove le vicende si sono consumate e dove c’è una maggiore sensibilità ad attenzione per l’accertamento delle relative verità.

Tutta questa attività ha un obiettivo preciso. Il Tribunale Dreyfus punta a dare vita ad un movimento d’opinione nel Paese diretto a realizzare una rivoluzione garantista capace di smantellare quell’egemonia giustizialista che è stata instaurata in Italia in nome delle varie emergenze (terrorismo, criminalità, corruzione) e che ha progressivamente trasformato i cittadini prima in sudditi passivi e poi in potenziali imputati.

Proposito ambizioso? Certamente. Ma come pensare che il Paese si possa salvare dalla crisi più grave degli ultimi settant’anni se i suoi cittadini continuano ad essere considerati non come gli indispensabili artefici di qualsiasi ripresa, ma come portatori sani di colpevolezze che aspettano solo di essere accertate?


di Arturo Diaconale