Sinistra nostalgica, Grillo è il magnete

giovedì 25 settembre 2014


Beppe Grillo sostiene che a volere l’abolizione dell’articolo 18 è la Banca Centrale Europea che, attraverso l’azzeramento del welfare dei paesi europei, punta a coprire il buco del crack finanziario del Vecchio Continente.

Il leader del Movimento Cinque Stelle, naturalmente, non si pone neppure il problema se il crack finanziario dei paesi europei sia stato provocato da una espansione spropositata del welfare sostenuta per decenni dall’aumento progressivo del debito pubblico. Nella sua foga demagogica si preoccupa esclusivamente di presentare al proprio elettorato di indignati in servizio permanente effettivo un bersaglio, cioè una Bce che impone tagli allo stato sociale nei paesi europei, su cui scaricare tensioni, paure, preoccupazioni e rabbie per i disagi ed i sacrifici.

Anche se demagogica e strumentale, però, la tesi di fondo di Grillo non è del tutto sbagliata. Perché è sicuramente vero che la richiesta della Bce a Paesi come l’Italia e la Francia è quella di accelerare i tempi delle riforme. Ed è altrettanto vero che l’obiettivo di queste riforme è la revisione ed il ridimensionamento di quello stato sociale europeo che per decenni è stato considerato il modello della terza via virtuosa tra il capitalismo americano ed il comunismo sovietico e che ha avuto come alimento di fondo la spesa pubblica.

Grillo indica l’Europa ed i suoi sostenitori, siano essi Draghi, Napolitano, Renzi o Valls, come i nemici da battere per difendere il welfare. Ma in realtà non indica un bersaglio ma fissa uno spartiacque netto tra chi difende ad oltranza il vecchio modello di stato sociale anche a dispetto della sua insostenibilità economica e chi, proprio in nome di questa insostenibilità, crede che l’unico modo per continuare a mantenere lo stato sociale sia quello di riformarlo radicalmente.

In questa luce la Bce è solo un pretesto per una battaglia che per Grillo non è quella diretta a conquistare la bandiera del più antieuropeista degli italiani, ma è quella di diventare il punto di riferimento di tutta quella parte della sinistra italiana che rimane ideologicamente, culturalmente e sentimentalmente legata al vecchio modello di stato sociale. È difficile stabilire se il leader grillino abbia deciso di assumere questa posizione per calcolo o per istinto. Di sicuro è quella che lo pone come l’interlocutore privilegiato di quei settori del Partito Democratico che stanno preparando la rivolta e le barricate contro il riformismo di Renzi. E lo rende un alleato naturale per quella parte di sindacato, dalla Cgil alla Fiom, che minaccia di scendere in piazza in difesa dell’articolo 18.

È probabile che qualche esponente della vecchia guardia post-comunista e post-democristiana possa storcere il naso nel ritrovarsi fianco a fianco con un personaggio da loro considerato un semplice dilettante della politica. Ma ogni perplessità ed ogni insofferenza è destinata a svanire di fronte al dato incontrovertibile del peso politico e parlamentare del Movimento Cinque Stelle. Perché diventa fin troppo evidente che più le componenti di sinistra del Pd prendono le distanze dal riformismo di Renzi, più vengono fatalmente attratte da un magnete della dimensione e della potenza mediatica di Beppe Grillo.

Quest’ultimo, in sostanza, può diventare il leader che manca alla sinistra massimalista, quello che ha la capacità comunicativa ed i voti per sfidare direttamente Renzi e che non corre il rischio di essere rottamato. All’inizio della legislatura l’allora segretario del Pd Bersani voleva attrarre al Pd pezzi del movimento grillino. Oggi capita il contrario.


di Arturo Diaconale