Tra la meritocrazia e il “Piano scuola”

giovedì 4 settembre 2014


Nell’annunciare la tanto attesa riforma della scuola, il premier Matteo Renzi ha parlato dell’ennesima svolta epocale. Sul sito “passodopopasso –mille giorni per cambiare l’Italia” – creato dalla Presidenza del Consiglio per informare i cittadini sull’andamento della perestrojka in salsa fiorentina, è possibile ascoltare un discorsetto del premier circa le linee guida di tale, molto presunta, svolta.

In soldoni, al netto della solita valanga di aria fritta che costui ci dispensa da mesi, si formalizza la sciagurata intenzione di assumere in pianta stabile nuovi eserciti di insegnanti nel più grande carrozzone pubblico entro il 2016 (nella corposa documentazione viene messa nero su bianco la cifra di 150mila docenti).

Tuttavia, e questo a parere di Renzi è in grado rassicurare il contribuente in merito all’efficacia dell’ennesimo investimento in pasti gratis, ciò dovrebbe avvenire a fronte di una sorta di rivoluzione meritocratica nel colossale comparto dell’istruzione pubblica. D’altro canto, occorre aggiungere, proprio l’introduzione della meritocrazia nel pubblico impiego in generale rappresenta uno dei principali cavalli di battaglia dell’attuale premier.

Era pertanto scontato che, presentando l’ennesima infornata di assunzioni di chiaro stampo elettoralistico, l’illusionista fiorentino ammantasse l’intera operazione con i toni di un finalistico rinnovamento ispirato alla religione della meritocrazia. Ma, come tutte le religioni, anche quella meritocratica è valida solo per chi ci crede ciecamente. Nella realtà dei fatti, sperimentata da decenni di sempre più invasivo e disfunzionale statalismo, la meritocrazia – categoria dello spirito che nel mondo delle libere relazioni di mercato si raggiunge attraverso scambi consensuali all’interno di una cornice concorrenziale – nel pubblico impiego rappresenta una chimera. Ed a meno che Renzi in persona non voglia passare al setaccio il milione e passa di insegnanti che orbitano nel mondo della scuola, l’idea di introdurre una sorta di gerarchia di merito dentro un luogo in cui, come nel resto della burocrazia statale, non può esistere alcun serio controllo di produttività, ci sembra qualcosa di più che una pia illusione.

Allargare i confini di quel grande ammortizzatore sociale targato pubblica istruzione, promettendo improbabili svolte efficientistiche, non può che assumere i connotati dell’ennesima, irresponsabile presa per i fondelli finanziata coi soldi dell’anonimo contribuente. Altro che perestrojka!


di Claudio Romiti