sabato 9 agosto 2014
Non bastavano le implorazioni di Papa Francesco. Né quelle dei (pochi) analisti della politica in Medio Oriente. Neppure le parole del Cardinale Angelo Scola, Arcivescovo di Milano, erano riuscite a suscitare uno stato d’animo di ribellione morale, ancor prima che politica. Il Cardinale, tra l’altro, ha ricordato due simboli della persecuzione: quella dei cristiani nell’epoca apostolica (a cominciare da Nerone, come racconta l’indimenticabile film “Quo Vadis ?” benedetto dal Papa Pacelli) e quella evocata da una famosa “esortazione” di Paolo VI del 1975, quando ricordava “quanti cristiani, ancora oggi, perché cristiani, perché cattolici, vivono soffocati da una sistematica oppressione, sebbene mascherata da categoriche dichiarazioni a favore dei diritti dell’uomo e della socialità”.
Da notare che per “socialità” il diplomatico Paolo VI voleva dire “comunismo”: erano gli anni del breznevismo trionfante e della cosiddetta ineluttabilità, da noi, dell’avvento dell’eurocomunismo in salsa berlingueriana. No, non bastavano queste invocazioni. Ci volevano le immagini delle tivù di tutto il mondo con quelle infinite teorie di cristiani perseguitati, uccisi, cacciati dalle proprie città, dai loro Paesi, dalle loro case, dai loro beni confiscati per capire che cosa significhi l’avanzata del Califfato (Isis) iracheno in quelle terre.
Adesso Barack Obama minaccia bombe intelligenti lanciate da droni sui luoghi dell’infamia e si dirà “meglio tardi che mai”. Ma la tivù e la potenza delle immagini che hanno inondato il mondo con un carico di indignazione servono anche per riscuotere un’indifferenza, un’apatia, un cinismo di fondo che ha fino ad oggi guardato a quelle faccende, considerate quasi con fastidio. Eppure il sistematico e annunciato sterminio di credenti, preti, vescovi, cappuccini è come una sequenza, purtroppo non televisiva, di una storia che il fondamentalismo islamico sta narrando con le nuove scimitarre sguainate sullo sfondo del grande silenzio dell’Occidente.
Ne scrivemmo qualche anno fa in una cronaca da Milano, esattamente dalla Chiesa dei Cappuccini di viale Piave, in occasione della morte in Anatolia del Cappuccino Monsignor Luigi Padovese, decapitato dai fondamentalisti. Ciò che ci aveva letteralmente sbigottiti fu l’enorme afflusso di credenti, di milanesi, cittadini qualunque, che partecipavano commossi, alcuni in lacrime, a una vicenda su cui, anche allora, si era parlato pochissimo, soprattutto a livello ufficiale. L’altra cosa che ci colpì profondamente fu, appunto, l’ufficialità del tutto assente. La salma del Cappuccino era arrivata su un cargo alla Malpensa, in gran segreto (forse si temevano attentati? Altre scimitarre in azione? Dunque, meglio tacere, il nemico ti ascolta...) senza che alcuna autorità fosse presente in una doverosa accoglienza, senza alcuna pubblicità, senza quei segni di solidarietà attiva che dovrebbero accompagnare simili eventi.
Silenzio assordante su quella morte esecranda, la parola “martire” è difficile da pronunciare. Eppure di martirio si tratta: degli armeni cristiani uccisi, dei preti massacrati in Turchia, delle intere comunità cristiane sterminate in Medio Oriente soltanto perché cristiane e cattoliche. Sono passati mesi ed anni, ma i martiri sono cresciuti a dismisura. E anche il silenzio. Da noi solo il popolo religioso ci ha dato una lezione di orgogliosa dignità, solo la sua anima profonda ha saputo riconoscere e venerare questi eroi, questi simboli del sacrificio per gli altri.
Il martirio alla rovescia è invece quello del fondamentalismo, e finalmente lo chiamiamo terrorismo. L’Occidente ha quasi sempre voltato la testa dall’altra parte. E già dall’abbandono americano dell’Iraq, dal pasticcio incredibile in Libia, dalla ritirata in Siria e infine dall’aggressione in atto del Califfato, si era potuta verificare di nuovo la paura, sì la semplice paura, di chiamare le cose col suo vero nome, di dire pane al pane e vino al vino. Non volendo irritare il coccodrillo sanguinario nell’illusione di essere risparmiati. Finché sono arrivate le immagini, quelle immagini. E Obama non ha più girato la testa dall’altra parte. Speriamo...
di Paolo Pillitteri