Delitto e castigo in terra di Israele

mercoledì 9 luglio 2014


In Israele, a differenza di ciò che accade in gran parte del mondo arabo, vigono la democrazia e lo Stato di diritto. Non è questione di dettaglio. Il senso della giustizia, proprio del popolo ebraico, consente alle autorità dello Stato e alla società civile di trattare i responsabili di crimini odiosi in uguale modo e di punirli nella stessa misura, che siano ebrei, arabi o di qualsiasi altra etnia o religione. La legge è uguale per tutti. Non si fanno favori.

Ora, l’azione terrorista, presumibilmente realizzata da miliziani di Hamas, che ha portato al rapimento e al conseguente eccidio dei tre giovani isreliani, Gilad Shaer, Naftali Frenkel, Eyal Yifrach, ha scatenato la rabbia degli oltranzisti della parte avversa. Alcuni di essi hanno preso in ostaggio e poi ucciso un giovanissimo palestinese. Non dovevano farlo perché nessuna rabbia, nessuna frustrazione avrebbero potuto mai giustificare il crimine orrendo di cui si sono macchiati. In queste ore la polizia israeliana ha individuato i possibili responsabili del gesto che è costato la vita a Muhammad Abu Khdeir. Ai colpevoli del brutale assassinio, ha promesso il premier Netanyahu, non verranno praticati sconti, dovranno pagare fino in fondo. Queste sono state le incoraggianti parole di un leader democratico che ha a cuore l’effettivo esercizio della giustizia nel suo Paese.

D’altro canto quelle parole non avrebbero potuto essere diverse. Certamente non avrebbero potuto somigliare a quelle dei dirigenti palestinesi, i quali hanno appostato sui loro siti web, sotto le immagini di case di coloni israeliani date alle fiamme, frasi farneticanti del tipo:” “Figli di Sion, questo è un giuramento al Signore dei Cieli: preparate tutti i sacchi che potete per le parti del vostro corpo”. La morte orribile di Muhammad è stato uno shock per l’intero Paese che si carica di un nuovo lutto da elaborare. Israele è stata colta di sorpresa e non era preparata a metabolizzare, all’interno della comunità, la presenza di assassini così motivati nel fare violenza. Era dal 1994, dai tempi del killer Baruch Goldstein, che provocò una strage a Hebron, che il popolo della stella di Davide non faceva i conti con una simile esplosione di follia omicida. La cifra di queste ore è l’esecrazione per la spirale innescata dall’irrazionale desiderio di vendetta di pochi a danno del diritto della maggioranza a vivere nel rispetto delle leggi.

Tuttavia, come ha scritto Tzippi Sha-ked, su “Times of Israel”: Il popolo israeliano, diversamente dai palestinesi, “non sta distribuendo dolci per le strade in segno di festa”. I due presidenti israeliani, quello uscente Shimon Peres e il neo eletto Reuven Rivlin, hanno rivolto un appello congiunto alla popolazione sia ebrea, sia araba. Il messaggio, di altissimo profilo, ha inteso ribadire alcuni concetti fondamentali per la regolazione della vita comunitaria. Essi hanno detto che “Una lotta nazionale non giustifica atti di terrorismo. Gli atti di terrorismo non giustificano la vendetta. La vendetta non giustifica le distruzioni, i saccheggi e le devastazioni”. Sembrerebbe logica elementare, in realtà si tratta dell’elaborazione, sofferta, di una lucida visione di pace. Nelle parole dei due uomini politici vi è la piena consapevolezza del fatto che stroncare il dialogo per dare spazio all’istigazione all’odio e alla volontà di spargimento di sangue, rappresenti la fine della speranza.

Tutti, indistintamente, dovrebbero far tesoro di un così alto insegnamento. Per i due presidenti la pace potrà compiersi soltanto dopo che arabi ed ebrei, si saranno resi conto di una semplice verità: i due popoli non sono condannati, ma destinati a vivere insieme. È necessario, dunque, che si ponga fine al più presto a questa innaturale asimmetria per la quale i palestinesi, sentendo propria la missione provvidenziale della distruzione d’Israele quale compimento del volere di Allāh, considerano ogni atto criminale rivolto contro gli ebrei in sé eticamente giusto. È la medesima convinzione che li conduce a interpretare le azioni di prevenzione antiterroristica dell’Idf (Israeli Defence Forces) frutto della malefica presenza di satana in terra e, allo stesso tempo, la pioggia quotidiana di razzi esplosi dalle brigate Al-Qassam, braccio armato di Hamas, contro le città israeliane del Negev, come la mano del profeta che si abbatte sugli infedeli.

Spesso ci si chiede da dove il popolo israeliano tragga la forza per resistere ai colpi inferti da così tanti e ostinati nemici. Dire che gli ebrei sono temprati alle nefandezze della storia è in sé valutazione superficiale e di dubbio gusto. È vero che la coesione sociale sia alta, la società civile sia molto progredita e l’idem sentire di un popolo sia radicato nella profondità della coscienza comunitaria. Tuttavia, a noi piace credere che tanta forza al bastione più lontano della civiltà occidentale derivi dal fatto di essere Eretz Israel, terra di giustizia. Cosa non scontata di questi tempi.


di Cristofaro Sola