sabato 5 luglio 2014
In uno sfogo, pare durante un fuori onda – luogo prediletto della verità – Beppe Grillo ha lanciato una delle sue fatwa contro la tivù o meglio, contro l’andare in tivù, contro l’uso della tivù, ecc., comprendendovi anche le sue apparizioni.
Si riferiva, probabilmente, alla sua performance da Bruno Vespa nel corso della quale assistemmo al marxiano “arrovesciamento della prassi”, che altro non è che il ribaltamento dei ruoli. Difatti, ciò che si capì da subito, fin dall’incontro gaio e festoso, come nella rimpatriata di due vecchi colleghi, fu l’operazione abile del conduttore consistente in una sorta di cannibalizzazione dell’ospite, in una sua liofilizzazione: la “vespizzazione” del vaffa, per dire. Ovvero, l’omologazione. A questa omogeneizzazione del medium fa ora riferimento il leader dei Cinque Stelle il quale, come si ricorderà, aveva vietato l’accesso in tivù ai suoi, espellendone i recidivi e infine rivedendo la fatwa. Che adesso, come in un gioco dell’oca, viene di nuovo emessa, poi revocata e così via.
L’aspetto più curioso della faccenda è che Grillo è, oggettivamente, un personaggio di grande caratura della tivù e dello spettacolo, uno che conosce a fondo il mezzo, un protagonista dell’aggregazione della gente. Che non conosca a fondo i meccanismi mediatici è altamente improbabile, anche e soprattutto quelli che mettono il mezzo al servizio della (anti)politica, la sua vocazione da anni, il suo sfogo, la sua invettiva. Che, peraltro, ha funzionato. Specialmente quando insultava la tivù e i suoi “manutengoli”, sposando invece la sua “Rete” (di Gianroberto Casaleggio), sapendo perfettamente che non era la Rete dei suoi adepti a sigillare un successo, ma l’apporto decisivo della maledetta tivù. Che, infatti, tanto più lo vezzeggiava, coccolava e incitava, quanto più veniva insultata a sangue.
Quale è e dov’è il problema? Semplice: il problema è politico. Ed è nella politica e con la politica che chiunque, a cominciare da Grillo, deve fare i conti. Lo sa alla perfezione Matteo Renzi, come lo sapeva Silvio Berlusconi. E pure Grillo. Solo che quest’ultimo ha sottovalutato il senso più vero della polis, che non tollera sbandate brusche, in primo luogo da chi ha innalzato la bandiera dell’antipolitica facendone il target unico, ripetuto, martellato, sbattuto in faccia con accompagnamenti di ingiurie ad personam in cui era eccelso l’orrendo Umberto Bossi del “celodurismo”.
Tutto ha funzionato, tivù in primis, con Grillo fino a quando ha mantenuto la barra a dritta, ha perseguito sulla strada del “vaffa”, dell’antagonismo duro e puro in nome del cambiamento più radicale in vista del 51 per cento (lui diceva 100 per cento...) dei voti. E vai dunque con “la salma del Quirinale”, “Capitan Findus”, “l’ebetino”, “il criminale matricolato” e via schiaffeggiando. Il gioco al massacro è durato fino al successo elettorale del 2013, grazie alla debolezza di Pier Luigi Bersani ed al declino berlusconiano. E con l’esclusione fatale di Renzi, che della politica-tv era ed è un protagonista assoluto, anche negli scontri, basti ricordare quello storico con quel Giovanni Floris che se n’è andato dalla Rai, ma questo è un altro discorso.
Entrati in un Parlamento da aprire con l’apriscatole, i grillini sono a loro volta entrati nella logica opposta; ovverosia nella polis, con le sue ferree regole e, lentamente, hanno cambiato politica. Omogeneizzandosi. Esattamente come Grillo, finito nella fauci omologatrici di Vespa. La colpa non è mai della tivù se si viene omologati. La colpa è di quello che fai, che dici, che proponi. Della politica che intendi perseguire, dei progetti che offri e delle loro realizzazioni. Per dire: il Cavaliere del 1994, e oltre, usava bensì il medium (che conosceva come le sue tasche), ma proponeva una progettualità nuova, si offriva come l’innovatore liberale sulle macerie della partitocrazia corrotta, era il portatore di una politica nuova. E ha funzionato, eccome. Ha cominciato a funzionare meno, pur continuando ad andare in tivù, quando il suo disegno politico si è offuscato insieme alle promesse lasciate a metà e le riforme pure. Per non parlare delle scissioni, dei processi accaniti, ecc.
Per alcuni il dato sorprendente è che il Cavaliere mantiene ancora adesso una sua centralità, nonostante le batoste elettorali ed i servizi sociali. In realtà, e ancora una volta, è stata la politica a collocare Berlusconi in questa centralità, a farne un protagonista indispensabile delle riforme istituzionali. Anche e soprattutto in virtù di un Renzi deideologizzato, che ha cancellato l’antiberlusconismo ventennale d’accatto per iniziare un percorso diverso. Anche se, dall’immortale scuola andreottiana, ha avviato la politica dei due forni. Con Grillo, si capisce. Ma sempre politica è. E Grillo, lo sa?
di Paolo Pillitteri