Lo stile Farage che manca alla Merkel

giovedì 5 giugno 2014


Premessa: non sono euroscettico, credo nei fondamentali europei, a cominciare dai suoi mitici fondatori Schuman, De Gasperi, Adenauer e Martino, detesto Grillo e, in genere, i populismi. Però...

Non so se a voi è capitato di fare la conoscenza, televisiva beninteso, di quel Nigel Farage che con il suo Ukip dal primiero 3 per cento ha bagnato il naso a Cameron e pure agli altri del Regno Unito. A me sì. E, credetemi, sono rimasto colpito. Intanto, non è un violento arruffapopoli alla Grillo, anzi, del boss pentastellato, almeno nell’eloquio, ripudia l’urlo triviale e le manette scagliate ai reprobi, tutti, della politica. Neppure al Bossi archetipale somiglia, ché il Senatur anticipava, semmai, le peggiori infamie erga omnes grilline.

No, Farage è un tipo da bar; meglio, da pub, con tanto di pinta di birra in mano, preferibilmente scura, dialogante con un consimile frequentatore, vestito con sobria eleganza, la cravatta giusta e il tono della voce moderatamente cantabile. Certo, quando si sposta sui banchi dell’Europarlamento e prende la parola, anche Farage si adatta al clima polemico. Ma, anche lì nella solenne aula di Strasburgo, il suo moderato cantabile sa modularsi sulla diversità del contesto, ma mai esagerando nei decibel o nell’esposizione di cappi al vento. Semmai, alza il livello della polemica e la sua vis è tanto più pungente quando meno ne solleva le tonalità. Il tutto molto inglese, molto Westminster, per dire.

Molto britannico il Farage, ma anche molto concreto nella sua esposizione dell’Europa che non vuole. Ed è proprio il suo mood che deve preoccupare, la sua sostanziale compostezza, persino nella strepitosa vittoria, aliena da botti pour epater. In questo simile alla Marine Le Pen che, a sua volta, è scesa dai decibel razzistici del padre che eccitavano Borghezio. Entrambi, Farage e Le Pen, dicono di ripudiare razzismo, xenofobia, antisemitismi, ecc. Vero o non vero che sia (noi ne conserviamo un solido scetticismo), sta di fatto che su due Paesi essenziali, Gran Bretagna e Francia, sventolano oggi le bandiere di due movimenti di massa che oppongono un totale rifiuto a quella che Farage chiama la “Europa della banche ingorde, della burocrazia infame, dei finanzieri d’assalto, degli immigrati ovunque che producono solo disoccupazione e miseria”. Rifiuto dell’Europa della Troika, delle banche e dei banchieri. Su questo i leader euroscettici, a cominciare da Farage, hanno vinto, rivendicando, in sostanza, nazionalismi e isolazionismi, chiusure e respingimenti, rotture di alleanze storiche uscite dalla Nato, ecc.

Non a caso Grillo insegue Farage, pur sapendolo di estrema destra. Proprio lui, Grillo, che invitava a inneggiare, su input del nerovestito Casaleggio, a Berlinguer! Berlinguer! Bella roba. Attenti al Farage, col suo moderato cantabile, con la sua abilità nell’insediarsi nell’immaginario di un collettivo britannico che non è affatto estraneo al richiamo della foresta, ovvero alla nostalgia imperiale adombrata dal Commonwealth e da quant’altro.

Uno come Farage semina su un humus fertile e già il suo raccolto è oggi ampio, fin troppo. E inquietante. Sia pure con stile molto british. Attenzione al suo stile. Non solo o non tanto perché ha spostato il contendere interno all’U.K. su temi e storie consce e inconsce tutt’altro che spente, quanto, soprattutto, perché impone risposte indifferibili ai grandi capi europei, in primis ad Angela Merkel. E lasciamo in un cantuccio, per ora, il Renzi che deve avere in testa ben altro dalla Merkel, e lo vedremo. Ma Angela, con la sua uscita o provocazione della Lagarde alla Presidenza della Commissione europea - capite, la Lagarde oggi massimo simbolo, esattamente come Junker “bruciato” da Cameron, della Troika - ha innalzato l’asticella della sua insopprimibile, preoccupante arroganza.

Come se il responso elettorale di inglesi e francesi non fosse servito ad aprire gli occhi e le orecchie. Un’arroganza politica tanto impenitente nella continuità di un’egemonia, quanto sorda (per ora) nella mancanza di risposte dopo la dura lezione impartita da uno come Farage, l’imprevisto leader da bar, anzi, da pub, cui tutto rimproveriamo, tranne lo stile. Che manca all’Angela nostra.


di Paolo Pillitteri