Sciopero Rai l’11, e perché non il 12?

mercoledì 4 giugno 2014


Fra le tante disquisizioni, qualche volta di lana caprina, come a proposito della leggendaria lottizzazione della Prima Repubblica nella quale i lottizzati dei tre maggiori partiti erano i peggiori e i migliori erano invece quelli esterni a Dc, Psi e Pci: si faccia un nome, almeno uno di quei peggiori, magari un Vespa o un Ghirelli o un Curzi e un Santoro. Peggiori costoro degli altri? E chi sarebbero gli altri, i migliori? E adesso, nella Seconda Repubblica (quasi Terza), tutti professionisti, nessun lottizzato? Ma andiamo...

Che poi il cosiddetto Partito Rai abbia imperversato, spesso esorbitando per eccesso di difesa autoreferenziale intrisa di ideologismo corporativo, vabbè, si sapeva e si sa. Tant’è vero che proprio questo partito sembra essere stato spinto ben oltre l’asticella dell’autodifesa con la proclamazione dello sciopero dell’11. Meritandosi gli schiaffoni (in due riprese) del Premier Matteo Renzi, che ha scompaginato una delle strategie più inconsulte messe in atto, destinata a finire sull’orlo di un burrone, anzi, di un vulcano. Renzi ha questo di interessante, che non solo dice quello che pensa a proposito della Rai, ma fa quello che dice: una sua riforma radicale che vada ben oltre i dovuti 150 milioni. Sui quali l’aver proclamato uno sciopero era appunto una delle due risposte (l’altra è un sogno... che il Premier si aspettava, forse provocandola già durante lo “scazzo” con quel Floris un tantinello fuori di testa da cui è iniziata la slavina in atto, con correzioni, appunti, indicazioni diversamente riformatrici, le quali, nonché tardive, sono come il “tacon”: peggiore del “buso”.

Allora, di che stiamo parlando? Ma c’è dell’altro, una carta che probabilmente lo staff renziano si teneva nella manica per giocarla, non si sa mai... È un piccolo dettaglio - il diavolo, si sa, sta nascosto nei dettagli -di carattere squisitamente tempistico. Lo sciopero del servizio pubblico radiotelevisivo è stato indetto per l’11 giugno. Né il giorno prima, né (soprattutto) il giorno dopo. La scelta della data di uno sciopero (e che sciopero) non è mai casuale e dovrebbe coincidere, per i promotori, con il massimo della resa della manifestazione. Ora, l’11 di giugno non pare proprio che la Rai tv offra una programmazione che possa far soffrire i teleutenti a causa degli operatori con le braccia conserte e le bocche cucite per un giorno. Ci mancherebbe altro. Al massimo, il teleutente cambierà canale. E la resa, il risultato della manifestazione, di che tipo sarebbe o sarà? Modestamente simbolica, una testimonianza irrilevante. Uno sciopero facile facile, che scivola via.

Vuoi mettere, invece, uno sciopero indetto per il 12 giugno, quando in Brasile cominciano i mondiali di calcio. Zac, un blocco totale della Rai, a cominciare dallo spot con samba, saudade, Pizzul e Trapattoni, belle ragazze e bambini col pallone sulle spiagge di Rio. E poi nessuna immagine della cerimonia inaugurale, di son et lumiere, di stadi festosi e, soprattutto, di partite in diretta. Così si deve fare se si vuole attirare l’attenzione sull’azienda Rai che il cattivo Premier vuole colpire al cuore, smantellando qua e là, tagliando rami e ramoscelli, licenziando a man bassa. Basta con questi attacchi al Servizio Pubblico che nascondono trame e sospetti con l’odiato Cavaliere e il suo Biscione. Un grido solo si alza: sciopero il 12 e sui teleschermi l’immagine struggentemente evocativa del “Quarto Stato” di Pellizza da Volpedo.

Un gesto estremo, emblematico, un botto da stordire tutti, una lezione per quel Renzi. È un sogno, lo avete capito. Ma non è detto che qualcuno dei renziani non sogni una cosa del genere, un bel botto dei sindacati Rai per il 12 giugno (farlo l’11 è davvero un’iniziativa umiliante, diciamocelo). E nel sogno c’era l’asso nella manica. Ovvero un’occasione d’oro, da sfruttare politicamente. Un assist imprevisto per procedere ad una riforma radicale del Servizio Pubblico radiotelevisivo. Un sogno, lo ripetiamo, ma di che materia sono fatti i sogni? Questo sogno? Immaginiamocelo. Un emissario del Premier, magari una bella figliola, del tipo Primavera di Botticelli (in onore di Firenze, s’intende) interrompe verso le 24 le trasmissioni, e a teleschermi Rai riuniti, con un soave sorriso sulle labbra annuncia: “Signore e signori, siamo spiacenti di informarvi che, in base alle determinazioni del Governo alla luce delle reazioni e dell’indignazione dell’intero Paese per l’umiliante e ingiustificabile sciopero di oggi, e del combinato disposto spending review e Commissione europea, tutte le trasmissioni Rai, su reti e canali radiofonici, terminano a partire dalle 24 di oggi, 12 giugno 2014. Vi preghiamo di rimanere sintonizzati su questi canali dove vi saranno offerte distensive immagini bucoliche e rilassanti musiche per tutti. Vi auguriamo la buonanotte. E l’ultimo nello studio, spenga le luci”.

Dite che esageriamo? Che il Premier non farebbe mai riforme-Rai così drastiche, risolutive? Certo che no, stiamo scherzando. È un sogno. Proibito. Ma la tentazione è forte. E in Grecia è già successo.


di Paolo Pillitteri