Sterile retorica del cambiamento

sabato 31 maggio 2014


In tema di renzismo, argomento oramai dominante dopo il trionfo dell’attuale premier alle elezioni europee, debbo confessare di aver nutrito un’immediata ripulsa politica per il giovane leader fiorentino nella prima e unica volta che ebbi modo di ascoltarlo dal vivo. Fu circa un anno e mezzo fa – un’altra Era politica – quando egli chiuse la campagna per le primarie del centrosinistra che lo vide soccombere abbastanza seccamente nella disputa con Pier Luigi Bersani.

In particolare, al netto della valanga di belle ed edificanti intenzioni espresse, mi colpì un’idea di cambiamento a 360 gradi che, pur risultando ottima per acchiappare voti in ogni ambito, giudicai molto negativamente. Ciò perché in quel momento ritenevo che il Paese stesse per raggiungere un tale punto di rottura economica e sociale da aver bisogno di un Governo e di una classe dirigente in grado di spiegare al popolo la reale entità dei problemi che attanagliano l’Italia, proponendo tutta una serie di misure impopolari ma necessarie, compatibilmente con i limiti obiettivi che una democrazia del consenso impone a qualunque Governo.

E ancora oggi ritengo, malgrado gli aiutini finanziari ricevuti dalla Bce e dai mercati ancora speranzosi sul nostro futuro, che non si possa prescindere da una linea della responsabilità che smetta di raccontare la favola di un cambiamento di marcia che comporti un saldo positivo per tutti, poiché è questo il mantra che continuano a ripetere Matteo Renzi e le sue truppe di rottamatori, vecchi e dell’ultima ora. E invece sta accadendo esattamente il contrario. Contando su una pura suggestione politico-mediatica, il nuovismo in salsa fiorentina sta portando al parossismo l’idea, molto peregrina ahinoi, secondo la quale sarebbe possibile realizzare una svolta nella quale lo Stato riesca ad aumentare il proprio perimetro, con valanghe di nuove assunzioni nel pubblico impiego e montagne di investimenti keynesiani per far ripartire l’economia, consentendo nel contempo al sistema delle imprese private e a tutti coloro i quali vivono di mercato concorrenziale di abbassare i costi attraverso una forte riduzione della pressione fiscale allargata.

In altri termini, dietro la sfolgorante promessa di Matteo Renzi si cela la medesima illusione che ascoltai a suo tempo e che si può così sintetizzare: più Stato e più spesa pubblica, più mercato e meno tasse per tutti. Una sorta, insomma, di riproposizione con altri termini della tradizionale botte piena con moglie ubriaca.

Ora, qualche smaliziato esegeta renziano potrebbe sostenere che tutto questo rappresenta solo un necessario specchietto per le allodole, onde poi realizzare con la necessaria gradualità tutta quella serie di interventi in grado di mettere in sicurezza i conti pubblici, consentendo all’economia privata di ripartire attraverso la via maestra di un sostanziale abbattimento delle tasse e della burocrazia. Bene, nell’interesse di tutti spero vivamente che l’attuale Presidente del Consiglio abbia in testa qualcosa di simile.

Tuttavia, se per avventura egli si cullasse nella chimera di restare al 40 per cento di consensi e oltre con le chiacchiere che fanno viaggiare i treni, l’amara realtà dei fatti lo riporterebbe assai rapidamente coi piedi per terra. Il Paese per uscire dalla crisi sistemica in cui versa deve fare dei sacrifici in una precisa direzione la quale, francamente, non porta nel regno dei balocchi, in cui tutti sono più ricchi e più lieti.


di Claudio Romiti