Malagiustizia: nasce il Tribunale Dreyfus

martedì 13 maggio 2014


Il caso Dreyfus, che scoppia in Francia alla fine dell’Ottocento con l’ingiusta condanna di un capitano ebreo alsaziano per tradimento, è il primo esempio di vicenda mediatico-giudiziaria di epoca moderna.

Dreyfus non è solo vittima di un clamoroso errore giudiziario. È anche il bersaglio delle prime pulsioni antisemite ed autoritarie che si manifestano sul territorio francese prima di espandersi in Germania. È la vittima di un complotto teso a scaricare su un semplice capitano, che ha il torto di essere ebreo e si trova nella sfortunata condizione di essere alsaziano, responsabilità di connivenza con il nemico che erano ascrivibili a una parte dello Stato Maggiore dell’esercito. Il caso Dreyfus è soprattutto la miccia che fa scoppiare la prima grande battaglia informativa dell’epoca moderna che si svolge tra intellettuali, politici, giuristi e coinvolge l’intera opinione pubblica francese ed europea.

Quella vicenda, che sembra lontana anni-luce, è invece più attuale che mai. Non solo nel nostro ma in gran parte dei Paesi di quello che un tempo di chiamava Mondo Occidentale. È vero che non esiste oggi in Italia un caso Dreyfus. Ma in Italia ed in molti altri Paesi europei esistono un’infinità di casi Dreyfus e di esempi di vittime di una malagiustizia che non dipendono dagli umani errori dei singoli magistrati, ma nascono dalla crescente oppressione di strutture divenute troppo elefantiache e disumanizzate per poter mantenere un rapporto corretto tra lo Stato moderno ed i suoi cittadini.

L’infinita casistica della nostra attualità accostabile a Dreyfus si manifesta in ogni settore in cui il cittadino deve interagire con lo Stato ed il suo apparato burocratico. Il più eclatante è sicuramente il penale. Le vittime della malagiustizia pagano con le proprie vite spezzate gli effetti devastanti di un sistema che arresta gli imputati prima dei processi e li libera dopo le condanne, che limita al minimo le garanzie nella fase inquirente e le moltiplica nella fase dibattimentale e che, tanto per citare l’anomalia più inquietante, pretende di rieducare quei condannati all’ergastolo che sono destinati a morire (ma da rieducati) in carcere. Il settore penale è, tuttavia, solo la punta dell’iceberg di un fenomeno che rende sempre più invasiva la presenza di uno Stato disumano e lontano della vita degli individui. E che avvinghia la giustizia civile in una paralisi perenne a discapito di un’esistenza resa sempre e comunque più precaria per cittadini ed aziende. Né si salva quella fiscale, sempre più oppressiva ed invadente, o quella amministrativa, segnata dallo squilibrio crescente tra apparato statale ed individuo. Né la giustizia sanitaria, che dovrebbe assicurare il diritto alla salute ma produce sempre più sprechi e malasanità. Tutta questa realtà, infine, compresa quella del costo esorbitante che uno Stato predone impone al cittadino per l’uso del servizio-giustizia, è contrassegnata, come nel caso Dreyfus, dalla presenza di un’informazione multimediale che, mossa dall’intreccio perverso tra ragioni commerciali, catastrofismo e giustizialismo ideologico, è sempre più invasiva e incline alla deformazione dei fatti e assume il ruolo di braccio armato di uno Stato burocratico che produce malagiustizia in ogni settore dell’intera società nazionale. Ai danni, quasi sempre irrimediabili, degli individui.

Di qui la necessità di reagire, seguendo l’esempio del “J’accuse” di Emile Zola, rispetto ad un fenomeno degenerativo non solo dello stato di diritto e della democrazia liberale ma, soprattutto, delle condizioni di vita della stragrande maggioranza dei cittadini. E di farlo cercando di contrapporre al cosiddetto circo mediatico-giudiziario giustizialista un circo mediatico-giudiziario che sollevi in continuazione e sui casi concreti il problema del rispetto delle garanzie e dei diritti umani.

Per questo nasce il Tribunale Dreyfus, che avrà un’Alta Corte formata da personaggi di grande autorevolezza, che si porrà come “ tribunale ombra” per svolgere contro-processi sui casi più eclatanti e significativi di malagiustizia ed emetterà giudizi morali e politici destinati, come il “j’accuse” di Zola, a discutere, riflettere, correggere. La grande lezione del caso Dreyfus, alla luce delle successive vicende storiche del secolo successivo, è che solo nei regimi autoritari le sentenze si applicano senza discussione alcuna. Negli stati di diritto si applicano ma si analizzano, si valutano, si criticano. Non per delegittimare i giudici ed il sistema giudiziario. Ma per migliorare i primi e democratizzare ed umanizzare il secondo.

In nome di questa lezione parte il Tribunale Dreyfus con il compito di raccogliere e mobilitare le vittime della malagiustizia in nome dei principi dello stato di diritto e della democrazia liberale!


di Arturo Diaconale