sabato 10 maggio 2014
Allo spettatore distratto che si fosse messo l’altro ieri davanti alla tivù, non sarebbe tuttavia sfuggito quello che a Hollywood - e pure nella traballante Cinecittà - si chiama “Set”. E che invece, in teatro, è il palcoscenico. Tre o quattro set, uno dietro l’altro, si sono affacciati davanti al nostro che, insieme alla leggendaria casalinga di Voghera, costituisce il vero punto di riferimento.
Ebbene, lo spettacolo offerto era davvero super, degno di quelle mise en scène che, oltre a riempire il vissuto quotidiano, si proiettano nel futuro, condizionano giudizi, vellicano istinti. Ma soprattutto nascondono, come ogni palcoscenico, il cosiddetto backstage. Davanti ai malati di Alzheimer, a Cesano Boscone, un imponente schieramento di cineprese, microfoni e giornalisti attendeva un leader ivi destinato, con relativo commento e non meno relativo contestatore cubista.
Immediatamente dopo ,ecco il set dell’arresto di Claudio Scajola con tanto di sceneggiatura di ferro: entrata del reo in caserma e uscita per l’avvio a Regina Coeli. Mancavano solo le manette viste nei tempi passati, o gli schiavettoni di Carra. Subito dopo si celebravano i fasti della Cinecittà del neorealismo, con il video delle bustarelle consegnate a un tizio dell’Expo milanese con tanto di battute in sovrascritta, abbinate alle immagini dell’interno del palazzo di giustizia milanese - dove non c’era più un coordinatore del pool dalle idee chiare, morto senatore Pd qualche tempo fa - e dei vari pm dell’inchiesta, col sottofondo delle immagini di nuovi/vecchi primi attori della storica fiction di vent’anni prima “Tangentopoli”.
Infine, sul palcoscenico di non so quale comizio, la tivù riportava, in primo piano naturalmente, il Premier nel suo consueto one-man-show in cui, dietro alla consueta irruenza, faceva capolino una sorta di ruga, un segno, un cenno di imprevista, faticosa inquietudine. C’è da capirlo. Quello che però si capisce anche da parte della casalinga di Voghera è il senso primordiale delle immagini di questi palcoscenici. Sono l’avamposto, dire l’anticipo se non addirittura le avanguardie, di una vicenda giudiziaria il cui supporto essenziale, per ora, sono le intercettazioni la cui diffusione determina, ipso facto, un pre-giudizio. Anche se il contesto è pesante e inquietante. Per non dire del video (della Procura) sullo scambio di mazzette e/o di compiacenze. Di certo, la visione dell’apparato intorno ad uno Scajola spedito in carcere certificava una preparazione, o sceneggiatura, della sequenza: avviso ai media, predisposizione delle cineprese, scelta della posizione, ecc. Cronaca? Sì, ma della gogna. Come chiamarla diversamente? Come non pensare ai suoi effetti presenti e futuri, che peseranno sull’immagine del presunto innocente al di là di qualsiasi esito processuale (se ci sarà)? Chiamiamolo: aiutino dei media. I diversi set sono da analizzare con attenzione - quello di Renzi è un’altra cosa, per ora - non soltanto perché rappresentazioni di uno spaccato dell’Italia venti anni dopo, ma perché ripropongono delle scene in sé devastanti politicamente e domande che, essendo le stesse di venti anni fa, costituiscono un nucleo di indubbia gravità nel suo ripetersi quasi tali e quali.
Non solo il passato non è morto, ma non è neppure passato, e specialmente non ha insegnato niente. È come se questi venti anni fossero trascorsi così, come piume al vento, e nonostante quella che il leader destinato settimanalmente a Cesano Boscone ha definito la “persecuzione giudiziaria”. Per di più, prima c’erano i partiti bisognosi di risorse, ma ora? È come se di nuovo il prevalere della gogna mediatica tendesse a mascherare il famoso backstage, il retroscena, pur sapendo che la regia è sempre quella e che possiede altre carte da giocare. Staremo a vedere le prossime puntate. Comprese quelle del one-man-show di Palazzo Chigi. E tuttavia le domande sono ancora altre. Se è vero come è vero che la storia non si ripete mai due volte allo stesso modo, non meno vero è che la sua ripetizione indica per lo meno un intervento della magistratura nelle dinamiche elettorali di cui si gioverà, ovviamente, Beppe Grillo. Causa ed effetto? Può darsi. Certamente la campagna elettorale è cambiata non solo per il ritorno del sempre uguale mediatico-giudiziario, ma per quei dettagli che, come sempre, racchiudono la scintilla del diavolo, il fulmine che rischiara. È il volto di Greganti, del compagno G, l’icona e contestualmente il ritratto del rientro di una linea di protagonismo “tangentizio” che sembrava essere stata archiviata politicamente, nonostante la condanna e le affermazioni di innocenza a suggello dei silenzi di ferro.
Senza esprimere nulla sull’iter della vicenda, e sempre strenui garantisti come vuole il nostro Giornale, l’autentico primo piano del set è questo. È questo dettaglio, il ritorno della figura di un album di famiglia dei duri, di quelli che non parlano, dei compagni G allenati dalla tradizione cospirativa a rispondere sempre “mi parli no!”. Sempre?
di Paolo Pillitteri