Bizzarro interventismo del ministro Pinotti

venerdì 9 maggio 2014


Il Consiglio dei Ministri deve aver assunto un impegno solenne verso gli italiani: dire almeno due, se non tre idiozie alla settimana. Giacché il compito è arduo e richiede un bel po’ di fantasia, di là da quella messa in campo da Matteo Renzi in persona, i ministri hanno deciso di fare a turno per sparare sciocchezze in libertà.

Questa settimana è toccato alla signora Roberta Pinotti, titolare della Difesa, sostenere, in un’intervista rilasciata a un noto quotidiano, che l’Italia è pronta a partecipare a una missione militare in Ucraina, sotto l’egida dell’Onu, o della Nato, o dell’Ue. Deve essersi bevuta il cervello, la ministra. La situazione in quel Paese, per come sta degenerando, può essere affrontata esclusivamente con gli strumenti della politica. In primis, il dialogo. Inoltre, il ministro della Difesa dovrebbe sapere che le missioni di peacekeeping possono essere disposte dagli organismi internazionali nel caso di scenari di guerra conclamati. Oggi, per nostra fortuna, sebbene la situazione sia gravida di pericoli e di incognite, non siamo giunti al punto di non ritorno dello scontro armato diretto. Lo stesso governo ucraino si limita a definire “azioni di polizia” la forzatura dell’intervento delle sue forze di sicurezza nella regione orientale del Paese per fermare i separatisti.

Sarebbe, poi, immaginabile una missione militare senza il preventivo consenso e la partecipazione attiva della Russia? Certo che no. Se accadesse, Mosca avrebbe tutto il diritto d’interpretare l’eventuale iniziativa come un atto ostile nei propri confronti. Non dimentichiamo che è grazie al dialogo tra le parti se si è giunti in tempi brevi alla liberazione degli osservatori dell’Osce, trattenuti come ostaggi dai miliziani filorussi. È del tutto evidente che se non vi fosse stata l’attiva collaborazione del Cremlino, la trattativa non avrebbe avuto gli esiti sperati. Bisogna anche considerare che sul campo la situazione sia molto diversa, e più complessa da come i media occidentali tendano a rappresentarla. Non ci sono buoni da una parte e cattivi dall’altra. Questa è soltanto una semplificazione in stile Barack Obama. In realtà, il sostegno offerto agli insorgenti filorussi dell’Est ucraina non è totalmente guidato da Mosca. La presenza di milizie armate provenienti da zone poste fuori del confine ucraino si spiega con ragioni di solidarietà etnica originata dalla comune appartenenza alla regione del Don. Celati dai passamontagna ci sono i cosacchi del Don che, motivati da un richiamo patriottico, sono accorsi a presidiare città come Mariupol’ e Slaviyansk. D’altro canto, la “mission” dell’insurrezione separatista mira, in prima battuta, alla costituzione della Repubblica Popolare di Donetsk. Il passo dell’adesione alla Federazione russa è successivo.

Ancora una volta, come già in Ucraina occidentale, è il nazionalismo esasperato a farla da padrone. Un punto bisogna aver ben chiaro: l’Ucraina è storicamente un Paese diviso, sia dal punto di vista etnico, sia da quello religioso. E non saranno le intese di vertice delle superpotenze a restituirle un’unità effettiva che mai c’è stata. Ora, la Pinotti invoca un intervento armato e con chi? Con l’Unione Europea? Non è bastato ciò che la politica, rozza e arrogante, di cosiddetto “vicinato” è riuscita a produrre di negativo? Non nascondiamoci dietro un dito, o dietro le solite menate umanitarie; se si è giunti a questo punto è perché una parte importante di responsabilità la detiene proprio l’Europa. Per essere precisi, le politiche di questi ultimi anni improntate a uno spirito “germanocentrico” hanno condotto l’Unione a commettere macroscopici errori nell’inquadramento strategico dei rapporti con la Russia. Berlino ha pensato di sottrarre all’influenza del Cremlino i Paesi un tempo componenti l’impero sovietico. La pretesa più bizzarra è che davvero si potesse credere che i russi sarebbero rimasti alla finestra a guardare, senza reagire. La questione sorge nel momento in cui l’Ue propone la costituzione di un Partenariato orientale a sei Repubbliche ex-sovietiche (Armenia, Azerbaijan, Bielorussia, Georgia, Moldavia e Ucraina), escludendo la Russia. Nel 2009 avviene la costituzione dell’organismo senza che la Russia venga consultata. Da quel momento iniziano, da parte europea, le pressioni sull’Ucraina per attirarla nella sfera d’influenza occidentale. Bruxelles finge di ignorare che Mosca sia il primo partner commerciale di Kiev, oltre che suo principale creditore. Nonostante ciò, la Commissione Europea risponde alle caute aperture del governo ucraino con assoluta inflessibilità: l’accordo con l’Europa è incompatibile con quello russo. L’Ucraina deve scegliere. Si tratta di un aut-aut in piena regola. Nel novembre dello scorso anno, giunti al redde rationem, il presidente Janukovyč, messo alle strette, si sottrae alla firma dell’accordo di Vilnius con i Paesi europei. Da quella rinuncia scatterà il meccanismo della rivolta di piazza Majdan che condurrà all’odierna situazione. Non sono frottole.

Questa ricostruzione ha ricevuto l’autorevole avallo del segretario generale dell’Osce, l’ambasciatore italiano Lamberto Zannier che, audito ieri l’altro dalla Commissione Esteri della Camera dei Deputati, ha ricostruito la genesi della crisi ucraina proprio a partire dal comportamento intransigente della Ue. Egli ha chiarito ai presenti che la politica di vicinato praticata dalla Commissione Europea è stata vista da Mosca come un’aperta minaccia.

Per tornare alla realtà, la via d’uscita praticabile resta il negoziato tra tutti gli attori della crisi. Sarebbe quindi salutare se i Paesi occidentali prendessero in seria considerazione la proposta russa di avviare un percorso di riforma dell’architettura dello Stato in senso federale. Una soluzione del genere potrebbe avvicinare di molto la soluzione della crisi. In cambio, gli occidentali potrebbero pretendere una sostanziale “finlandizzazione” dell’Ucraina. Si tratterebbe cioè di farne un territorio neutrale dal punto di vista strategico e, allo stesso tempo, renderlo una zona di libero scambio commerciale, aperto bilateralmente sia a Est che a Ovest. Gli “occidentali”, invece, sembra vogliano puntare tutte le carte sullo svolgimento delle elezioni presidenziali, fissate per il prossimo 25 maggio. Non è una posizione incoraggiante. Se prima non si pone fine al contrasto armato interno, si corre il rischio che a votare vada solo una parte, quella occidentale del Paese. Ciò delegittimerebbe di fatto il risultato uscito dalle urne ed aprirebbe le porte alla soluzione armata del conflitto.

Comunque vadano le cose, l’esito è scontato. Questa mano alla fine sarà di Putin. Obama e soci si mettano l’anima in pace. Il leader russo ha dall’inizio della crisi a disposizione il “match point”. Nel momento in cui dovesse disporre l’interruzione delle forniture di gas, l’Ucraina sarebbe in ginocchio, nonostante le promesse di aiuto dell’allegra brigata occidentale. Basterebbe questo per far pronunciare a Putin la fatidica frase, mutuata dal gergo tennistico: “Gioco, partita, incontro”. Se la ministra Pinotti proprio non se la sente di restare a guardare e ha voglia di menare le mani si vada a vedere la situazione di caos e anarchia in cui versa la Libia, che è anche più vicina all’Italia e, forse, ci dovrebbe interessare parecchio. Il terrorismo jihadista sta sottomettendo il Paese al suo potere. Il nemico “numero uno” è la nostra civiltà. È il mondo dei nuovi crociati e degli ebrei. Per quei criminali un mondo così lo si abbatte, lo si rende schiavo, non lo si cambia. Lì sì, ministra, che ci sarebbe da menare le mani. Eccome!


di Cristofaro Sola