L’intendenza di Cesa e di Angelino Alfano

sabato 3 maggio 2014


Lorenzo Cesa si lamenta perché Matteo Renzi sembra ignorare la presenza dell’Udc nella maggioranza di Governo. Ma può sempre riconsolarsi applicando la regola del “mal comune, mezzo gaudio” con la semplice considerazione che i “desaparecidos” della coalizione governativa non sono solo i suoi parlamentari, ma anche quelli di tutti gli altri “cespugli” centristi. Quelli che, pur sostenendo Renzi, non sembrano godere di eccessiva considerazione da parte del Presidente del Consiglio.

Il leader del Nuovo Centrodestra, Angelino Alfano, al contrario di Cesa, non si lamenta. E anzi sottolinea orgogliosamente e trionfalisticamente come il suo partito stia contribuendo a trasformare il “Palazzo in un grande cantiere” dove si lavora per la trasformazione del Paese. Ma tra i due, Cesa e Alfano, chi sembra avere ragione è sicuramente il primo. A dimostrarlo in maniera tangibile c’è la vicenda della riforma del Senato. Su cui né Cesa, né Alfano hanno avuto la possibilità di mettere bocca e far valere le proposte e le idee dei rispettivi partiti. Per superare gli ostacoli che si erano posti di fronte alla riforma di Palazzo Madama, infatti, il Presidente del Consiglio si è premurato in primo luogo di avere la conferma della tenuta del patto con Silvio Berlusconi e successivamente si è preoccupato di trovare un compromesso d’intesa con le opposizioni interne del proprio partito. Di Cesa e di Alfano, così come di Scelta Civica e degli altri spezzoni dell’area centrista, il Premier non si è curato affatto. Ha applicato la regola napoleonica che “l’intendenza è destinata a seguire” ed è andato oltre. Nella totale consapevolezza che l’Udc, il Ncd, Sc e tutti gli altri prezzemolini che fanno parte dei cespugli centristi potranno al massimo abbaiare alla luna per dolersi della propria marginalità, ma non si sogneranno mai di mettere in discussione la propria presenza al Governo per imporre le proprie ragioni sulle riforme.

Tutto questo in politica significa passività e marginalità. Può anche essere che Cesa riesca ad essere eletto al Parlamento Europeo nella lista che l’Udc ha fatto insieme con il Nuovo Centrodestra. E può anche essere che il partito di Alfano riesca a superare lo sbarramento del quattro per cento nel voto del 25 maggio. Ma la passività e la marginalità del loro ruolo politico rispetto al Governo di Matteo Renzi sono destinate a rimanere intatte ed a condizionare in senso necessariamente negativo il futuro dei due partiti minori e dell’intera area centrista presente nella coalizione governativa. Di fatto la vicenda della riforma del Senato ha dimostrato che il Governo Renzi è un monocolore Pd destinato ad andare avanti solo fino a quando il patto sulle riforme con Berlusconi continuerà a reggere e la paura di elezioni anticipate costringerà le componenti interne del Partito Democratico a rinviare il momento della resa dei conti tra di loro e con il segretario-Premier.

A Cesa, Alfano, al povero Mauro scaricato in maniera fin troppo brutale ed alla stessa Giannini abbandonata al suo destino di marginalità dall’opportunista Monti, non rimane che stare alla finestra ad assistere passivamente ad un gioco da cui sono esclusi. Non solo per mancanza del peso politico necessario per entrare a far parte della partita ma, soprattutto, per totale assenza di una qualche prospettiva credibile per il proprio futuro. Alfano si illude quando ipotizza che facendo l’intendenza di Renzi si prepara a raccogliere i pezzi del berlusconismo che prevede frantumato dal tramonto del Cavaliere. Sia perché Berlusconi (ed i sondaggi lo confermano) è più in campo che mai. Sia perché la storia insegna che agli ufficiali dell’intendenza sono sempre preclusi i gradi di comandante in capo!


di Arturo Diaconale