Festa del lavoro ricordando i marò

giovedì 1 maggio 2014


Massimilano Latorre e Salvatore Girone sono italiani in armi al servizio della Repubblica. Sono due fucilieri di marina. Il compito a cui sono preposti è difendere la Patria e i suoi cittadini ovunque si trovino e in qualsiasi condizione versino. Come scandisce il motto del reggimento a cui appartengono, il glorioso San Marco: “Per Mare, Per Terram”. Per l’impegno che essi profondono lo Stato corrisponde loro un salario avendoli alle proprie dipendenze. Quindi, è corretto asserire che essi, dal punto di vista dello stato giuridico, siano lavoratori della pubblica amministrazione. Per questa ragione crediamo sia giusto onorarli proprio nel giorno consacrato alla festa dei lavoratori: il primo maggio.

Latorre e Girone sono due cittadini speciali perché, trovandosi a compiere i compiti loro assegnati dai superiori gerarchici, sono trattenuti illegalmente dalle autorità indiane. In tale condizione non ci si sono cacciati da soli. Sono stati vittime sacrificali di una politica insulsa e codarda la quale, per proteggere gli interessi economici di altri illustri cittadini, ha ritenuto di doverli abbandonare nelle mani di un governo e di un’opinione pubblica stranieri che ne hanno fatto oggetto di odio e di vendetta.

Latorre e Girone, però, non hanno soltanto patito l’insipienza delle autorità del nostro Paese che, nella gestione del contenzioso con l’India, hanno sbagliato tutto. I due marò devono ancora oggi difendersi dalle speculazioni di bassa lega che certa stampa nostrana ha riservato loro, dipingendoli come degli spietati killer. È di questi giorni l’ultima prodezza de “Il Fatto Quotidiano” che affida alla penna di Marco Lillo una reprimenda al capo dello Stato che, durante le celebrazioni del 25 aprile, avrebbe ricordato i due fucilieri. Effettivamente, Napolitano ha detto che Latorre e Girone, come tanti loro commilitoni, fanno onore alla Patria.

La cosa a quelli del “Fatto” è andata di traverso. Lillo si chiede quale legame possa unire la vicenda dei due marò al ricordo degli eroi dell’isola greca di Kos ricordati da Napolitano nella stessa circostanza. Si parla dei 103 ufficiali del X reggimento fanteria della Divisione “Regina” che furono trucidati dai tedeschi a sangue freddo, il 4 ottobre 1943, perché si erano opposti con le armi alle truppe della Wehrmacht rifiutandosi di passare, dopo l’8 settembre, sotto il loro comando. Cerchiamo di spiegarglielo. Ciò che tiene insieme due vicende apparentemente lontane tra loro sono due fattori, uno negativo: il silenzio delle autorità che, per non turbare le anime belle di certa sinistra, hanno taciuto, negli anni, del sacrificio degli italiani in armi durante il secondo conflitto mondiale, come allo stesso modo hanno cercato di zittire tutte le voci che proclamassero il comportamento onorevole dei marò nella vicenda della “Enrica Lexie”; un altro positivo: la capacità dei soldati di ieri e di oggi di mantenere fede ai giuramenti prestati. Girone e Latorre, dopo essere stati rimpatriati lo scorso anno per una breve licenza concessa dalle autorità indiane, avrebbero potuto opporre resistenza al loro rientro in India. Non l’hanno fatto. Hanno onorato la parola data, ubbidendo agli ordini dei loro superiori, coscienti di andare incontro a un incerto destino. Allo stesso modo di quegli ufficiali del Decimo che, per tenere fede alle istruzioni ricevute dagli alti comandi, decisero di opporsi ai tedeschi ben consci di cosa sarebbe accaduto loro in caso di sconfitta. Perfino Winston Churcill, impressionato dal loro comportamento sentì il dovere morale di avvisarli sul pericolo incombente. “Dì agli italiani – scrisse a Wilson il 3 ottobre, mentre a Kos si combatteva – quale terribile sorte li attende se cadono nelle mani degli Unni. Saranno fucilati in massa, soprattutto gli ufficiali, e i superstiti saranno trattati non come prigionieri di guerra ma come schiavi lavoratori per la Germania”.

Marco Lillo ricostruisce a suo modo l’incidente nelle acque contigue a quelle teritoriali dello Stato indiano del Kerala. Ciò che dice è falso e pieno di imprecisioni. Insomma, il tipico giornalismo che fonda la sua presa sui titoli a effetto e non sui riscontri fattuali. Lillo, presumendo che siano effettivamente accaduti, si preoccupa di osservare gli eventi dal punto di vista dei pescatori morti, della tragedia toccata alle loro famiglie e all’intera comunità di cui facevano parte. Li descrive come due vittime innocenti di una violenza cieca. Peccato che il valente giornalista non abbia la benché minima prova per dimostrare che quelli erano davvero poveri pescatori e non avessero alcun intento criminale nei riguardi dell’unità navale italiana, visto che il peschereccio su cui erano imbarcati si era posto in rotta di collisione, quindi di attacco, con la petroliera. Se dovessimo attenerci ai soli indizi, cosa che solitamente provoca l’orgasmo dei giornalisti del “Fatto”, allora dovremmo concludere che gli innocenti pescatori tanto innocenti non erano.

Noi, da inguaribili garantisti, avremmo voluto vedere esaminate le prove, anche per tutelare l’onorabilità degli indiani sui quali pende una montagna di sospetti. Invece, questa fortuna ci è stata negata visto che le prove più importanti sono state opportunamente distrutte, come sono stati sottratti agli esami peritali della difesa italiana i corpi dei due pescatori deceduti. Con la scusa delle tradizioni religiose, sono stati nottetempo cremati e tanti saluti alla verità. Lillo non dice il vero quando afferma che le perizie sulle armi sono state eseguite alla presenza dei nostri carabinieri. È accaduto il contrario. Agli esperti del Ris non fu consentito di assistere alle analisi balistiche comparative. Lillo, abituato al codice di procedura penale scritto dal suo capo, Marco Travaglio, fa confusione. Parla di due differenti versioni. Non esistono differenti versioni. Agli atti è depositato il rapporto ufficiale redatto dal comandante della nave, sotto la propria responsabilità civile e penale, che è poi un estratto di quanto riportato dal giornale di bordo. Agli atti ci sono i rapporti di servizio del capopattuglia dell’unità militare imbarcata sulla “Enrica Lexie”, che dànno un esatto resoconto dei fatti verificatisi. Quella è la sola verità conosciuta fino a prova contraria. Nello Stato di diritto è l’accusa che deve provare la colpevolezza degli imputati e non viceversa. Al momento, l’unica certezza che abbiamo è costituita dalla circostanza che le autorità inquirenti indiane non hanno ancora formulato i capi d’accusa contro i nostri militari. Dopo due anni di illegittima detenzione i nostri ragazzi non sanno ancora di cosa siano accusati. Nel mondo civile questa condotta dell’autorità giudiziaria sarebbe inaccettabile. Ci rendiamo conto che un comportamento del genere in un cronista del “Fatto” generi l’estasi.

Pensiamo, allora, che si debbano onorare i nostri due marò perché essi sono vittime dell’inettitudine della politica italiana. Li dobbiamo onorare perché non sappiamo quando potranno fare ritorno alle loro case, visto che la soluzione adottata dall’Amministrazione Renzi di tentare la strada dell’internazionalizzazione del contenzioso si presenta lunga e complessa. Li dobbiamo onorare perché sono stati incolpevoli spettatori delle passerelle mediatiche allestite sulla loro pelle dai vari politicanti di casa nostra. Li dobbiamo onorare perché sono stati chiamati in causa in sceneggiate indecenti come quella di cui si è reso protagonista, all’Onu, il poco commendevole ministro Angelino Alfano. Dobbiamo onorarli perché assistono in silenzio allo scaricabarile delle responsabilità. Di questi giorni l’ultima: è stato licenziato l’ineffabile Staffan De Mistura ed è stato rispedito a Delhi l’ambasciatore Mancini a tentare di riprendere il dialogo tra sordi con le autorità indiane. Dobbiamo onorarli perché sono italiani. Nonostante il disfattismo arrogante dei tanti piccoli, insignificanti “marcolillo” che girano per l’Italia, noi siamo orgogliosi di essere ammalati di quella malattia infantile, contro la quale non fummo vaccinati e mai lo saremo, il cui esantema si chiama “Italia”.


di Cristofaro Sola