Il partito unico della spesa pubblica

mercoledì 30 aprile 2014


Nelle democrazie più avanzate le differenze tra le forze che si contendono il Governo sono generalmente più piccole di ciò che le relative grancasse propagandistiche cercano di spacciare. Normalmente l’alternanza si basa su due partiti o schieramenti: uno progressista e l’altro moderato. Il primo tende ad aumentare il livello di protezione sociale, mentre il secondo opera in senso leggermente contrario, riducendo di qualche punto percentuale le prestazioni offerte dallo Stato.

In Italia, al contrario, stiamo assistendo da decenni ad un sostanziale continuismo sul piano dell’intervento pubblico. Tanto il centrodestra che il centrosinistra hanno di fatto accresciuto la presenza dello Stato nell’economia, con un’escalation – complice anche la crisi di questi ultimi anni – che ha condotto il sistema politico-burocratico ad intermediare il 55% del reddito nazionale. Una percentuale superiore a quella controllata dai bolscevichi durante la prima fase della rivoluzione d’ottobre.

Ma all’orizzonte non s’intravede un’opzione politica che abbia la credibilità e la forza per invertire questa nefasta tendenza. Soprattutto i tre maggiori partiti, Partito Democratico, Forza Italia e il Movimento 5 Stelle, sembrano accumunati da una smania di consensi fondata sulla promessa di nuovi “pasti gratis”. E ad un Premier Renzi che raschia il fondo del barile della fiscalità e del deficit per regalare una mancia a 10 milioni di potenziali appartenenti al proprio bacino elettorale, fanno da contraltare i fantasmagorici impegni di spesa espressi da Berlusconi e Grillo. E se il Cavaliere, più prudentemente, spara le sue bordate solo in campagna elettorale, promettendo irrealizzabili aumenti delle pensioni minime, il capo indiscusso dei grillini sfida la logica e la fisica dei conti pubblici a giorni alterni, rilanciando in ogni piazza l’illusione del cosiddetto reddito di cittadinanza. Ma non pago di ciò, il comico ligure accompagna spesso questa sorta di moderna moltiplicazione dei pani e dei pesci con l’impegno ad abolire in blocco l’Irap, definita da Tremonti –quando era ovviamente all’opposizione – imposta rapina.

Ora, di fronte a questa deprimente offerta politica nella quale il voto utile sembra oggetto di una contesa alla Wanna Marchi, in cui le promesse di future regalie rappresentano il discrimine tra le maggiori forze in campo, come dovrebbe porsi un liberale che crede profondamente nel senso della responsabilità individuale? Avrebbe senso, come consigliano alcuni autorevoli osservatori, turarsi ancora una volta il naso e scegliere il meno peggio? Anche perché, e qui concludo, tra la padella e la brace non è che poi ci sia così tanta differenza. Poveri noi!


di Claudio Romiti