mercoledì 30 aprile 2014
Sono bastate tre apparizioni sugli schermi televisivi a Silvio Berlusconi per ritornare al centro della scena politica. Prima a “Porta a Porta” da Bruno Vespa, poi nel programma domenicale di Canale 5 di Barbara D’Urso e infine sul terreno ostile di Riccardo Formigli su La7. E ora anche i più tenaci sostenitori dell’ineluttabile declino dell’ex Cavaliere incominciano a prendere atto che il presunto tramonto del leader del centrodestra non è affatto cupo come avevano immaginato, ma è talmente fiammeggiante da far tornare nelle loro teste l’incubo dell’ennesima rimonta.
Berlusconi torna a fare paura ai suoi avversari. Al punto che la condanna ai servizi sociali non viene vista più come un marchio d’infamia destinata a campeggiare sulla lapide politica dell’Uomo Nero, ma come un’opportunità di recuperare il voto degli anziani erroneamente concessa da magistrati incauti al leader di Forza Italia. Che le puntate polemiche contro Napolitano non vengono più considerate come un reato di lesa maestà, ma come una furba operazione tesa a sottrarre a Beppe Grillo i voti degli antipatizzanti del Quirinale. Che la battuta sui tedeschi viene interpretata come il frutto di una mefistofelica manovra tesa a raccogliere i consensi dei tanti che si sentono vittima dell’austerità imposta dall’egemonia tedesca sull’Europa. E le stesse elucubrazioni di stampo moralistico sulle “donne oggetto”, sulle “situazioni scabrose” e sulla “sconcertante vita privata” scritte con chiaro riferimento all’ex Premier da un giudice di Bari, perdono l’aspetto dell’ennesimo sfregio mediatico-giudiziario all’immagine di Berlusconi per diventare una sorta di boomerang in favore di un Cavaliere pronto a chiedere la solidarietà dei tanti italiani decisi a rivendicare il diritto alla loro libertà nella camera da letto.
Il timore dei nemici di Berlusconi, in sostanza, è che Berlusconi stia riuscendo a prolungare chissà di quanto il proprio tramonto tornando ad essere l’interlocutore indispensabile e, al momento, insostituibile di Matteo Renzi. Nessuno è in grado di prevedere quanto potrà rendere in termini di voti la riapparizione televisiva del leader di Forza Italia. Ma il timore dei suoi avversari è fin troppo fondato. Perché l’esperienza passata dimostra che il personaggio è abituato a dare il meglio di sé nelle campagne elettorali, trasformando quelli che sono i suoi punti di debolezza in punti di forza. Paradossalmente, però, sotto questa preoccupazione degli avversari del Cavaliere (per i suoi elettori rimane tale anche dopo la rinuncia al titolo) si nasconde anche la sottile ed inconfessata speranza che l’ennesimo miracolo della rimonta si compia. Questa speranza nascosta è il frutto di una considerazione precisa. Il leader del centrodestra è di fatto una garanzia di stabilità, il puntello di un quadro politico che nell’ipotesi di un suo tramonto effettivo rischierebbe di cadere rovinosamente spalancando la strada al caos. Quando Grillo preannuncia che in caso di vittoria del suo partito farà dimettere Napolitano e punterà alle elezioni anticipate compie un’evidente esagerazione di stampo elettoralistico.
Ma chi ragiona all’interno della sinistra, a partire da Renzi, si rende conto che per impedire di regalare il Paese ad un comico incapace di andare oltre la protesta da cabaret non c’è altra strada che giocare di sponda non con i cespugli di una maggioranza precaria ma con il rappresentante nient’affatto tramontato dell’area moderata. Così quelle elezioni europee che dovevano segnare l’eclissi del Cavaliere ed il trionfo dei suoi avversari diventano l’occasione del consolidamento, almeno fino alla primavera del prossimo anno, della diarchia Renzi-Berlusconi!
di Arturo Diaconale