sabato 5 aprile 2014
Matteo Renzi è un bugiardo seriale, ma in compenso è anche un comunicatore eccellente per la platea che ha a disposizione. Riscuote infatti un ottimo successo tra il popolino, quella massa informe che si ferma alla mera percezione di riforma, all’idea di velocità, al piglio frenetico con il quale il Premier annuncia le tappe serrate della sua rivoluzione immaginaria, al giovanilismo artatamente ostentato.
Per chi lo ascolta, Matteo Renzi è musica sublime perché riesce a far vibrare le corde di una collettività sfiduciata e in attesa di quei cambiamenti epocali sempre promessi e mai realizzati. La massa sfiduciata e di poche pretese, in sostanza, si attacca al parlatore affetto da finto attivismo compulsivo, illudendosi che questi realizzi qualcosa in più del solito bel comunicato stampa o della polemicuzza gustosa. Peccato che alla bella frase, quella gigiona e ad effetto, poi non corrisponda nulla; vuoi perché con la stessa composita maggioranza di Enrico Letta sarebbe stato da illusi aspettarsi sfracelli, vuoi perché il Premier le spara veramente grosse e vuoi per una oggettiva difficoltà a muoversi nella nostra arcaica architettura costituzionale. Fatto sta che al popolo sovrano sembra bastare l’annuncio, la dichiarazione ben recitata senza stare lì a sottilizzare sul merito delle questioni o sull’effettiva praticabilità delle promesse.
Prendiamo le riforme ad esempio: Renzi annuncia l’abolizione del Senato e tutti a fargli l’applauso ignari del fatto che, se la riforma dovesse passare (e così non sarà perché sarà vittima del fuoco amico proveniente dal Gruppo dei senatori del Partito Democratico), essa riguarderà solo l’elezione dei senatori, gli ambiti di competenza della Camera Alta e le indennità dei componenti. In pratica, il Senato non sarà abolito ma sopravvivrà e sarà composto da rappresentanti nominati dalle Regioni che non voteranno più la fiducia all’Esecutivo, ma che in compenso andranno ad occuparsi di una materia, come quella delle autonomie locali, già ampiamente paludosa e sulla quale insistono quotidiani conflitti di attribuzioni visto che, a 40 anni dall’attivazione delle Regioni, non si è ancora capito chi decida su cosa.
Al netto dei latrati provenienti dai “professoroni” alla Rodotà, quelli che da trent’anni si oppongono “a prescindere” a qualsiasi riforma costituzionale bollandola come fascista, questa è una non-abolizione peggiorativa del Senato perché prevede solo un “super porcellum” attraverso il quale si nominano gli onorevoli prescindendo dalla legittimazione popolare (e poco più).
È un affronto all’opinione pubblica che, poco dopo aver mostrato insofferenza verso meccanismi elettorali che affidassero ai partiti la nomina dei rappresentanti del popolo, adesso si ritrova di fronte ad un rilancio della politica che pretende di nominare gli inquilini di Palazzo Madama nelle segrete stanze senza passare nemmeno per le urne. Stesso discorso vale per le Province: strombazzano ai quattro venti di averle cancellate, mentre l’unica cosa che viene soppressa è l’elezione degli organi politici provinciali (e nemmeno ad opera di questo Governo), che saranno designati dalle amministrazioni comunali ricadenti nell’ambito provinciale. Le Province restano intatte ma saranno composte da eletti nelle amministrazioni municipali (successivamente designati alla Provincia) e si occuperanno della pianificazione strategica di una serie di materie ricadenti in ambito intercomunale. Tradotto: i politici che siederanno nelle assise provinciali verranno nominati dai sindaci ed andranno a fare solo danni, spesa pubblica e burocrazia più o meno come fanno adesso. Si abolisce solo la loro pubblica elezione con un risparmio di circa cento milioni su un totale complessivo di 12 miliardi (tanto pare che costino le Province oggi). Come se non bastasse, anche tecnicamente il ddl Delrio (quello che dovrebbe riformare gli enti locali) fa acqua da tutte le parti, perché va a cancellare il decreto 138/2011 - che già tagliava drasticamente il numero di consiglieri comunali - superandolo, consentendo una pletora di assessori e consiglieri comunali e comportando un aumento del personale politico di ben 25mila unità: dopo il danno, la beffa.
Ma intanto al pueblo il giovinotto spavaldo gli fa sangue, anche se si sbraccia da matti senza toccar palla. Questo perché alla “gggente”, i “gggiovani” piacciono come idea estetica e poco importa se le promesse nascono già morte; questi sono dettagli che impallidiscono di fronte alle buone intenzioni e alla spavalderia con le quali vengono proferite frasi di circostanza, promesse da marinaio e buoni propositi. Non è legittima speranza, ma irrazionale sfogo di pancia quella strana ipnosi collettiva che fa sembrare gli italiani al cospetto di Renzi come tante foche plaudenti al circo.
di Vito Massimano