Il caso Izzo: lotta alla paranoia giustizialista

sabato 5 aprile 2014


Nicola Izzo, ex vicecapo della Polizia costretto alle dimissioni perché accusato di turbativa d’asta e ora prosciolto per non aver commesso alcun tipo di reato, sostiene che nessuno gli potrà restituire i danni morali, fisici, umani e professionali patiti. E ha perfettamente ragione. Ma, purtroppo, la sua è una ragione sterile. Che non produce alcun effetto concreto al di fuori della sfera personale, visto che i giornali della gogna mediatica dell’inizio dell’inchiesta hanno liquidato a piè di pagina la notizia dell’archiviazione, che il posto di vicecapo della Polizia non gli verrà comunque restituito, che i danni morali, fisici e umani non saranno quantificati e rimborsati e che nessuno si assumerà la responsabilità di averlo infilato da innocente nel tritacarne giudiziario.

Il caso Izzo non è isolato. È solo uno dei tanti che si verificano giornalmente in un Paese che vanta il tragico e illuminante primato di avere una popolazione carceraria formata per il quaranta per cento da presunti innocenti in carcerazione cautelare. Questa grande massa di casi singoli rappresenta un fenomeno sociale di estrema gravità, che crea un clima di angoscia e di incertezza in tutti i cittadini (il timore di finire per disgraziato accidente in qualche amara vicenda giudiziaria non risparmia nessuno) e che alimenta una crescente sfiducia nei confronti del sistema-giustizia del Paese.

Un fenomeno che andrebbe affrontato e risolto con opportuni provvedimenti legislativi ispirati al principio costituzionale della presunzione d’innocenza. Ma che viene sistematicamente ignorato da una classe politica capace di rispondere solo alle pressione e alle pulsioni di quella parte dell’opinione pubblica, rappresentata da media in cerca di facile sensazionalismo, che chiede in continuazione colpevoli da sacrificare al Moloch delle proprie paranoie giustizialiste. C’è un modo di impedire questo singolare e gigantesco voto di scambio tra media sensazionalisti, minoranza paranoiche e classe politica pronta a cedere ad ogni nuova forsennatezza giudiziaria pur di conservare il consenso elettorale?

Fino a quando gli infiniti casi alla Izzo rimarranno casi personali non ci sarà alcuna possibilità di combattere una deriva che sta trasformando lo stato di diritto nello stato dell’abuso e della prevaricazione. Solo trasformando i casi personali in un fenomeno collettivo, cioè trasformando il fenomeno sociale in una precisa realtà politica in grado di fronteggiare ad armi pari le minoranze paranoiche ed i loro media di riferimento, sarà possibile tentare di frenare la deriva che minaccia di trasformare il nostro Paese nel regno dell’arbitrio.

Non si tratta di un’impresa semplice. Vent’anni e passa di intreccio della vecchia egemonia comunista in egemonia giustizialista non si possono cancellare dalla sera alla mattina. Ci vuole tempo e la consapevolezza che per ristabilire le basi ed i valori dello stato di diritto è necessario attivare tutti gli strumenti per compiere al tempo stesso una rivoluzione culturale (quella delle garanzie dei cittadini contro la cultura della presunzione di colpevolezza dei cittadini stessi), una politica (quella che faccia delle vittime della malagiustizia una forza e trasformi il tema della lotta alla paranoia giudiziaria nel comune denominatore dei partiti d’ispirazione democratica e liberale) e una mediatica (quella capace di contrapporre al circo mediatico-giudiziario giustizialista un contrapposto circo mediatico-giudiziario garantista).

Il progetto è ambizioso. Ma si può fare. Come sarà più chiaro nei prossimi giorni!


di Arturo Diaconale