sabato 29 marzo 2014
A parte tutto il gossip e il giornalismo di costume che si è fatto attorno alla visita di Barack Obama a Roma, una notizia notevole della sua due giorni nella capitale italiana è una non-notizia: la stampa statunitense non fa cenno a quel che si è detto durante la visita del presidente statunitense, se non il suo incontro, in Vaticano, con Papa Francesco. In effetti l’incontro con il Pontefice è stato forte e spiazzante. Invece del previsto dialogo di maniera sulla povertà nel mondo, l’appello del Papa per il rispetto della libertà religiosa e del diritto alla vita (in riferimento all’Obamacare, che obbliga i cristiani a pagare aborto e contraccezione) è certamente un piatto forte nella politica statunitense.
Ma dell’Italia e dei rapporti con il Bel Paese, praticamente, non si parla. Ha fatto notizia la puntata prima di Roma, quando, all’Aia e a Bruxelles, il presidente statunitense ha offerto il suo gas all’Europa, per sostituire quello di una Russia sempre più isolata e minacciosa. Così come sta facendo notizia la sua nuova visita in Arabia Saudita, dove Obama cercherà di ricucire lo strappo provocato dal mancato intervento militare in Siria (su cui i sauditi contavano). E anche quello potrebbe essere un viaggio di Stato leggibile in chiave anti-russa: se Obama riuscisse a convincere Riyad ad abbassare il prezzo del petrolio (come fece Reagan al culmine della Guerra Fredda, nel 1985), sarebbe un colpo al cuore dell’economia russa e un toccasana per i clienti europei. Occorre poi vedere cosa Obama darà, in cambio, alla politica saudita. Probabilmente, tanto per cominciare, garantirà loro mano libera in Siria, con tutti i pro e i contro del caso, fra cui la crescita di movimenti islamisti sunniti nella regione.
Intanto, però, in mezzo a tutto questo gran parlare delle visite di Obama in Olanda, Belgio, Vaticano e Arabia Saudita, l’Italia scompare dal radar dei media statunitensi. E si può anche capire il perché. Noi, ormai, non siamo più un partner strategico. Di questo ce n’eravamo già accorti almeno dal 2011, da quando abbiamo dovuto accettare un intervento Nato in Libia (mentre la Germania si ritagliava la sua neutralità), pur andando contro i nostri interessi economici. Non fu quello l’evento determinante della perdita di prestigio. Quella, semmai, fu una conseguenza di una perdita già avvenuta da anni. In questi colloqui fra Matteo Renzi e Barack Obama, a parte l’augurio del presidente Usa per una seria azione riformatrice del nuovo governo, non è emerso affatto un rapporto paritario. Renzi, nel nome del risparmio, ha citato il caso degli F-35, che lui vorrebbe tagliare. Ma Obama gli ha ricordato che l’Italia dovrebbe contribuire maggiormente alla sua stessa difesa. Non ha citato espressamente il nostro budget della Difesa, ma quando ha parlato di una “Europa” che spende “l’1%” del suo bilancio in armamenti e tutto il resto è a carico del contribuente statunitense, sicuramente faceva riferimento a noi, che spendiamo meno dell’1% per difesa e sicurezza. Anche per quanto riguarda l’energia, c’è poco da dire.
L’offerta statunitense riguarderà tutta l’Europa. Se si dovrà spostare il percorso del gas da Ovest a Est, mentre finora è sempre proceduto da Est a Ovest, sarà una scelta strategia da compiere su scala europea, a cui l’Italia non potrà dire di no. Dipenderemmo sempre da un Paese straniero, fortunatamente molto più affidabile di Russia o Libia. Dipenderemmo dall’estero anche per ciò che concerne i rigassificatori, che noi non abbiamo mai voluto costruire. Infine, ma non da ultimo, è Renzi che ha chiesto a Obama di dargli una mano per risolvere l’annosa questione dei nostri marò prigionieri in India. Obama vedrà cosa potrà mai fare. In ogni caso, è una questione che noi non siamo riusciti a risolvere, pur avendo tutto il tempo, i modi e i mezzi (e le occasioni, come la licenza natalizia dell’anno scorso) per cavarcela da soli.
L’Italia che emerge da questo incontro è un Paese bisognoso di tutto: di difesa, di gas, di una mano sulla scena mondiale. Sei anni di crisi economica e di instabilità politica ci hanno ridotto fino a questo punto. Non possiamo dire la nostra sulla questione energetica, perché non abbiamo mai voluto diversificare le fonti. Non possiamo dire la nostra su quali armamenti scegliere, perché non abbiamo mai voluto investire seriamente sulla nostra Difesa. Non possiamo dire la nostra neppure a livello diplomatico, perché abbiamo visto che basta una piccola minaccia di un Paese in via di sviluppo, per farci prendere per fessi. Forse è per questo che pochi, pochissimi, al di fuori dell’Italia, vogliono sapere come sia andato l’incontro al vertice italo-americano.
di Stefano Magni