La spending review come l’Araba fenice

venerdì 21 marzo 2014


Con l’avvento dell’ennesimo salvatore della Patria in salsa fiorentina, il tormentone infinito della cosiddetta spending review, elegante inglesismo che sta per revisione della spesa pubblica, ha raggiunto il parossismo. Non c’è praticamente programma televisivo di approfondimento politico in cui non venga affrontato un tema che ai più risulta essere più misterioso della leggendaria Araba fenice. Ma per i politici di professione, soprattutto quando occupano la stanza dei bottoni, la spending review rappresenta una sorta di pietra filosofale con la quale raggiungere finalmente il Paese di Bengodi, in cui la ricchezza e i beni materiali crescono sugli alberi senza alcuno sforzo.

Non a caso, il Premier Matteo Renzi come principale copertura per la sua campagna di spese pazze ha posto proprio il lavoro di revisione della spesa intrapreso dall’alchimista Carlo Cottarelli. Solo che, conoscendo il livello di cancrena che ha raggiunto il colossale sistema burocratico e assistenziale che affligge l’Italia, nemmeno se resuscitasse il grande Paracelso sarebbe possibile trasformare in oro la cappa di piombo che sta sempre più soffocando la società reale. Una cappa fatta di un eccesso, per l’appunto, di spesa pubblica, di tassazione e di tagliole legislative che risulta incompatibile con qualunque serio tentativo di ripresa economica.

Ora, dato che trattasi di un colossale problema di sistema, è abbastanza evidente che serve a ben poco continuare a passare al setaccio gli immensi carrozzoni pubblici nella speranza di eliminare il maggior numero di sprechi, partendo dal presupposto di lasciare inalterato l’attuale perimetro delle prestazioni offerte coercitivamente dallo mano pubblica. Come ho spesso avuto modo di scrivere su queste pagine, il coccio rotto di Stato ipertrofico non si aggiusta con l’illusione di un “Governo migliore”, così come sta riproponendo il renzismo dilagante. Occorre invece cominciare, pur con tutte le cautele e gradualità che un regime democratico impone, un’opera di diminuzione del Governo medesimo, secondo una genuina e sempre attuale prospettiva liberale. Solo restringendo il citato perimetro pubblico e le sue enormi competenze è possibile ottenere una ragionevole riduzione della spesa pubblica. A tal proposito è sufficiente osservare l’andamento della spesa corrente dello Stato degli ultimi dieci anni per rendersi conto dell’estrema aleatorietà di qualunque spending review operata all’interno dell’attuale cornice politico-burocratica. Emerge, infatti, che la spesa per cassa supera sempre, e spesso di parecchi miliardi, quella per competenza. Ciò, tradotto in soldoni, significa che le previsioni elaborate dai tecnici del Tesoro vengono regolarmente smentite dall’andamento reale dei conti pubblici. Conti pubblici che, spending review d’Egitto a prescindere, non possono essere tenuti sotto controllo da Roma, vista l’inestricabile giungla di centri di spesa che caratterizza questo disgraziato Paese di Pulcinella.

Troppi centri di spesa i quali, in ultima analisi, costituiscono migliaia di collettori di consenso che il ceto politico continua ad utilizzare a piene mani. E se Renzi pensa seriamente di risparmiare un buon numero di miliardi razionalizzando un mondo in cui vige l’idea molto irresponsabile di caricarsi sulle spalle del prossimo, si sbaglia di grosso. Uno Stato che gestisce oramai il 55% del reddito nazionale non si rigenera certamente contingentando matite e fotocopie. Ci vuole ben altro, caro Premier.


di Claudio Romiti