La sinistra al Governo: schizofrenia continua

venerdì 14 marzo 2014


La svolta c’è. Anzi, più che una svolta è una rivoluzione. Perché passare dallo stile di Enrico Letta a quello di Matteo Renzi è un rivolgimento assolutamente straordinario. Tanto compassato, prudente, misurato era lo stile dell’ex Presidente del Consiglio, tanto fuori dalle righe, esagerato, chiassoso è quello dell’attuale Capo del Governo.

Ma in tanta abissale differenza c’è una continuità che troppo spesso viene dimenticata, ma che invece va assolutamente evidenziata perché è il nodo centrale della crisi italiana. Si tratta della continuità data dal fatto che Letta e Renzi, pur avendo tratti caratteristici diametralmente opposti, sono entrambi l’espressione della sinistra al Governo. Una sinistra che passa indifferentemente dall’algido al focoso, da quello che non osa dire nulla in quanto non sa o non può fare nulla a quello che osa allagare di promesse e annunci il Paese, promettendo i miracoli più straordinari senza preoccuparsi minimamente se poi potrà in concreto realizzarli.

La personalizzazione della politica nasconde la circostanza che Letta e Renzi non sono avversari storici, ma sono le espressioni differenti di una sola forza politica (nel loro caso anche della stessa componente cattolica del Partito Democratico). Ma neppure l’eccesso di personalizzazione riesce a cancellare il dato reale rappresentato dal fatto che i due eccessi vengono fuori dalla stessa matrice e che questa matrice, la sinistra al Governo, proprio per questa caratteristica, sembra essere affetta da una vera e propria sindrome schizofrenica.

Se gli effetti di questa malattia riguardassero solo il Partito Democratico, poco male. Il dramma è che il passaggio dalla depressione all’euforia eccessiva, dalla razionalità alla lucida follia, si scarica direttamente sul Paese ormai da troppo tempo a questa parte, contribuendo in maniera determinante ad aggravarne lo stato di crisi. La preoccupazione, quindi, non è quella suscitata dalla constatazione di essere passati senza soluzione di continuità da un eccesso all’altro, ma dal timore che il Paese non sia in grado di sopportare oltre la continuità della schizofrenia.

Per uscire fuori da questa sorta di condanna ad una malattia irreversibile non c’è, in un sistema democratico, che la ricetta delle elezioni. Le prime in calendario, quelle Europee della fine del prossimo maggio, possono essere considerate come un utile test del grado di sopportazione dell’opinione pubblica nazionale della schizofrenia del Pd. Ma quelle decisive saranno fatalmente le elezioni politiche successive. Quelle che Renzi ha promesso per la scadenza naturale della legislatura, ma che con ogni probabilità si dovranno obbligatoriamente celebrare prima del 2018 per impedire che la malattia mentale della sinistra al Governo schianti definitivamente il Paese.

Naturalmente tutti si augurano che la svolta renziana qualche frutto positivo in termini di riforme lo possa comunque portare. Ma questo augurio non può cancellare la sensazione che la fase dell’euforia da televenditore non possa durare a lungo. E che si debba arrivare nel giro di un anno (se non prima) a curare la malattia di una sinistra schizofrenica di Governo con la medicina elettorale. Renzi ha detto che sul suo programma di riforme si gioca tutto, compreso il proprio futuro in politica. Il ché è pienamente legittimo. Sempre che il Presidente del Consiglio non voglia identificare il proprio futuro con quello del Paese. I pentolari passano, l’Italia rimane e deve andare comunque avanti.


di Arturo Diaconale