martedì 11 marzo 2014
Sono mesi e mesi che il Paese è bloccato in attesa che il Partito Democratico risolva i propri problemi interni. Prima è stato necessario attendere che si completasse la procedura delle Primarie e Matteo Renzi prendesse la sua rivincita sul fronte bersaniano e dalemiano. Poi si è dovuto aspettare che il plebiscito interno in favore dell’ex sindaco di Firenze producesse gli inevitabili e annunciati effetti sul Governo, provocando la cacciata di Enrico Letta e l’assunzione renziana a Palazzo Chigi. E ora bisogna ancora rimanere fermi sempre in attesa che dal marasma interno dei gruppi parlamentari del Pd esca un qualche compromesso capace di dare il via libera ai provvedimenti miracolistici promessi dal nuovo Presidente del Consiglio.
Fino a quando questa benedetta attesa potrà andare avanti? Il timore che incomincia a serpeggiare non solo nelle aule parlamentari ma nella società italiana è che la paralisi è destinata ad andare avanti ancora per molto tempo. Quello necessario alla minoranza interna del Pd, che però ha la maggioranza nei gruppi parlamentari, per macinare l’intruso Renzi con un’azione di logoramento sempre più determinata e incessante.
La macina in atto ha già prodotto effetti pesanti. La riforma elettorale, che doveva essere approvata in un battibaleno alla Camera, non solo si è impantanata a Montecitorio ma, dopo essere stata dimezzata (non si applicherà al Senato), rischia di subire strumentalmente un’infinità di altre modifiche e di nuovi stravolgimenti. La questione delle quote rosa è solo un pretesto per dimostrare che Renzi è un velocista solo a parole. Ed è l’avvisaglia di ciò che il Senato, dove la minoranza Pd si può meglio saldare con gli interessi conservatori dei “cespugli” centristi, si accinge a riservare ad un “Italicum” già dimezzato e smostrato oltre ogni limite.
A questa prima ferita all’immagine demiurgica del Premier si aggiunge quella che già si profila a causa dei provvedimenti economici e sul lavoro che dovrebbero essere varati nei prossimi giorni. Anche su questi terreni determinanti la spinta di Renzi sembra essersi arenata prima ancora di scattare ufficialmente. A frenarla ci sono i vincoli della Ue che il Presidente del Consiglio si è reso conto di non poter allentare, le condizioni disastrose dei conti pubblici e la preannunciata resistenza delle forze sociali, Cgil in prima fila, che sembrano di giocare di rimbalzo con la dissidenza interna del Pd per trasformare il “fenomeno Renzi” in un caso di folgorante disillusione.
Nessuno è in grado di prevedere quanto potrà andare avanti la paralisi imposta al Paese dalle beghe interne di un partito destinato a seguire con vent’anni di ritardo la stessa strada della dissoluzione riservata a suo tempo ai partiti democratici della Prima Repubblica. Ma è certo che di questo passo il calvario è destinato a durare ancora a lungo. Sempre che, nel frattempo, Matteo Renzi non trovi la forza di strappare i mille fili della tela di ragno con cui i suoi nemici interni cercano di imbozzolarlo e non decida di lanciare un’ultima e definitiva sfida a chi lo vuole liquidare ad ogni costo.
Ma come? Con una forzatura verso le elezioni anticipate da celebrare con il proporzionale della Consulta che porterebbero fatalmente o al caos o ad una nuova versione delle larghe intese? L’interrogativo è aperto. Ed è destinato ad essere tale almeno fino alla data delle elezioni europee, mai come in questa occasione decisive non per gli equilibri politici del Vecchio Continente, ma per il futuro della politica italiana.
di Arturo Diaconale