La giustizia: madre di tutte le riforme

venerdì 7 marzo 2014


L’Europa, attraverso il commissario per gli Affari economici e monetario Olli Rehn, contesta all’Italia “squilibri macroeconomici eccessivi” (di fatto, l’incapacità di ridurre l’eccesso di debito), “alti livelli di corruzione, di evasione fiscale, di inefficienza nel sistema giudiziario e nella pubblica amministrazione”.

All’Europa ed al suo commissario il Governo Renzi si accinge a rispondere ribadendo l’impegno dell’Italia per la riduzione del debito pubblico, per la lotta all’evasione fiscale, per misure più severe contro la corruzione e per una serie di riforme indispensabili per eliminare le disfunzioni del sistema istituzionale ed amministrativo che pesano come macigni su ogni ipotesi di ripresa. Su un punto solo l’Esecutivo guidato da Matteo Renzi non sembra in grado di fornire una qualche risposta o, peggio, di limitarsi ad assicurare solo un generico impegno per una ancora più generica ed indeterminata azione di riforma.

Questo punto riguarda la giustizia. Per la semplice ragione che nell’agenda del Governo il tema della giustizia non è neppure un titolo privo di seguito. È semplicemente inesistente. Questa inesistenza ha ragioni precise e fin troppo note. Il tema della giustizia e della sua riforma è quello che da vent’anni a questa parte rappresenta il motivo di maggiore scontro tra le forze politiche nazionali. Quello che oltre ai partiti vede contrapposti poteri ed organi dello Stato, categorie che svolgono ruoli di fondamentale importanza nella società nazionale, interessi di ogni genere e grado. E, soprattutto, quello che provoca disagi, sofferenze, rabbie ed indignazioni in larghissimi settori della popolazione italiana.

La “patata giustizia”, in sostanza, è troppo bollente perché possa figurare, addirittura come impegno generico, nell’agenda del Governo Renzi. Ma, al tempo stesso, è talmente importante e decisiva per il futuro del Paese da essere presente come una delle principali emergenze da affrontare nelle perentorie indicazioni inviate dall’Europa. È dunque necessario incominciare a sollevare la questione della riforma della giustizia. Non fosse altro perché agli occhi della Ue essa assume lo stesso rilievo del debito pubblico eccessivo, e l’evidente incapacità dei nostri Governi di affrontarla sta provocando un aumento vertiginoso di un nuovo tipo di spread ai danni del nostro Paese. Quello della sfiducia internazionale nei confronti di una nazione che in passato si fregiava del titolo di “culla del diritto” e che oggi è diventata per un verso il “regno dei dritti” e per l’altro l’area d’Europa con il più alto tasso di infrazione dei diritti umani.

Che il Governo Renzi non abbia inserito nel suo programma un qualche progetto di riforma della giustizia è anche comprensibile. Fino ad ora qualsiasi ipotesi di rinnovamento di un settore determinante per qualsiasi società civile è stata interpretata come un’aggressione sfrontata ed interessata alla magistratura. Cioè a quell’ordine dello Stato che, dopo aver provocato la caduta della Prima Repubblica, ha di fatto esercitato una funzione di controllo e di sostituzione del potere politico nel corso di tutta la Seconda.

Ma la contrapposizione frontale tra chi chiedeva la riforma contestando la supplenza della politica esercitata dalla magistratura e chi si opponeva a qualsiasi rinnovamento in nome della sacralità della magistratura stessa e spesso con l’obiettivo di cavalcare la tigre giustizialista per conquistare posizioni di potere, ha prodotto risultati negativi per tutti. Non ci sono vincitori e vinti dopo questa battaglia ventennale. Solo sconfitti visto che la riforma non c’è stata ed il sistema giudiziario è sfiduciato non solo dalla stragrande maggioranza degli italiani, ma ora dalla stessa Europa. Dallo stallo, dunque, bisogna assolutamente uscire. E spetta all’attuale Governo compiere il primo passo. Che è sicuramente il più difficile di tutti, ma che è anche la condizione indispensabile per avviare qualsiasi ripresa.


di Arturo Diaconale