giovedì 6 marzo 2014
Partiamo dalla massima filosofica che “Ciascuno ha le sue ragioni”. Vero. Ma c’è un ma. Che consiste nel principio di realtà. Ovverosia che ogni ragione o torto finisce sempre col confliggere con quel principio. Il quale si determina alla conclusione del confronto dei due opposti.
La premessa serve a stabilire l’entità, il peso e l’utilità dei talk-show televisivi che hanno assurto, da due decenni e più, la funzione una volta ricoperta dai partiti. Il che presuppone il vuoto lasciato dalla politica insabbiatasi da un lato e dall’altro la forza della tivù e dei talk, la loro stessa ragione di esistere, l’importanza, la determinazione. Ma se i talk, a parte quello storico di Bruno Vespa, sono praticamente indistinguibili l’uno dall’altro, la conseguenza è che affievoliscono la potenza del loro target. Cosicché, sia Paragone che Formigli, sia Iacona che Del Debbio e sia, infine, i modelli “classici” di Floris e Santoro, rischiano la stessa palude della politica ma in moduli bulimici.
I motivi sono diversi. Uno ce l’ha indicato Ricolfi, non a caso a “Porta a Porta”, quando, riassumendo il significato del suo ultimo libro, ha fatto notare che il nodo cruciale della situazione italiana non risiede nella quota “povera” (20%) del Paese, ma nella sua ampia fascia dei “benestanti” (80%). Quest’ultima accoglie il largo, larghissimo ceto medio che sarà indubbiamente in crisi ma con disponibilità presenti e di recupero estese, fermo restando che, oltre al timore di impoverirsi, c’è quello della paura oscura derivante dall’instabilità dalla precarietà e dalla mancanza di credibilità della politica. Ma se questa politica comincia a diventare (un po’) credibile, ecco che sia l’80% che il 20% tendono a scomporsi e ricomporsi, in un clima meno pauroso, in una stabilità più confortante.
Se è vero questo quadro, ecco che mano a mano che la politica esce dalle sabbie mobili, simmetricamente ne scivolano dentro i talk-show, cioè lo scontro fra politici in televisione. I quali non possono cambiare, non possono, cioè, mutare la loro struttura che è la raison d’etre, l’essenza del modello. Si rivolgono sostanzialmente a quel 20% sposandone in toto le motivazioni e indicando allo spettatore che quei problemi, quello status di poveri, di suicidi, di piagati dall’ingordo fisco, e i loro motivi di indignazione, di odio per la Casta, abbracciano un intero Paese allo sbando, sgovernato, in declino inarrestabile e sull’orlo di una catastrofe irrimediabile. Donde il duello all’ultimo sangue sul tema, agitato come una clava, delle elezioni anticipate. Che è un non-tema, come stiamo vedendo i queste ore. Quasi nessun talk ha mai rinunciato alle sue ragioni, le ha anzi rafforzate ponendosi, con malcelato didatticismo, non tanto o soltanto come pungolo, bensì come alternativa alla Casta e facendo di questa il bersaglio più ambito, sistematico, crudele, addirittura feroce.
La Casta, le urla, i “vaffa”, il grillismo, l’anti-Cav. (quasi sempre) o l’anti- Pd (qualche volta) sono diventati un terreno non solo di scontro fra nemici politici mossi come marionette dal conduttore, ma termini semantici, simbologie, miti negativi, esempi nefasti da distruggere. Il bello (o il brutto) è che la massima filosofica iniziale fa parte della struttura, è in un certo senso fondativa di ogni talk-show, ma viene manipolata dal e col presupposto della “Casta da bruciare”, disintegrando ogni pars costruens.
Il punto è che la funzionalità dello scontro in tivù pretende una politica diversa, se non nuova, una politica cioè che riprende il filo, impone una linea, segna una rottura e determina una svolta. La svolta, volenti o nolenti, tv o non tv, talk o non talk, sta prendendo faticosamente piede. Si sta delineando la pars costruens. Ovviamente dall’avvento di un Renzi dallo stile cambiato radicalmente, pur con i suoi limiti e pericoli, ma anche con le ultimissime vicende dell’Italicum, nonché del famoso accordo fra Renzi e Berlusconi, con un occhio ad Alfano. È accaduto un fatto semplice ma anche nuovo, di questi tempi. Ha vinto la politica. Perché qualsiasi accordo prevede, nella sua attuazione, un’altra mediazione per non sbattere nel principio di realtà. Solo la politica può evitare il crash devastante perché la sua forza, il suo vero potere, sta appunto nella ricerca di un punto di equilibrio. È mediazione. Talché, alla fine, non ci sono mai vincitori e vinti, non carnefici e non vittime. Nessuno scalpo da agitare. Del resto, chiunque abbia l’occhio lungo, sapeva e sa che al fondo della questione non c’erano le elezioni anticipate. Non perché non possano accadere per qualsiasi accadimento esterno, ma perché nessuno le vuole.
di Paolo Pillitteri