La partenza sbagliata di Matteo Renzi

martedì 4 marzo 2014


È sicuramente troppo presto per formulare un qualche giudizio sul Governo di Matteo Renzi e sulla sua possibilità di andare avanti fino alla scadenza naturale della legislatura. Di fatto non si sa ancora nulla dei progetti e delle iniziative che l’Esecutivo intende portare avanti per far uscire il Paese dalla più grande crisi del secondo dopoguerra. Il famoso “Jobs Act” all’italiana è ancora un oggetto sconosciuto. Il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan non ha spiccicato una sola parola sui propri intendimenti e sulle linee di politica economica che intenderà seguire. E lo stesso vale per qualsiasi altro aspetto dell’attività programmatica che il Governo vorrebbe realizzare per perseguire tutti i fantasmagorici obiettivi, dalla ripresa alle riforme costituzionali, che si è posto come ineludibile traguardo.

Ma, in attesa del verbo illuminante, non si può fare a meno di rilevare che l’impressione lasciata dai primi giorni di attività governativa non sia stata incoraggiante. Anzi, sia stata decisamente inquietante. Non tanto per il merito delle questioni che hanno suscitato questa impressione. Quanto per il modo scelto da Renzi di uscirne fuori.

Il caso dei sottosegretari contestati, da Antonio Gentile a Francesca Barracciu, è significativo. Che la nomina di due personaggi, entrati a torto od a ragione nel circuito mediatico-giudiziario, potesse suscitare reazioni negative era scontato. Gli oppositori di Renzi all’interno del Partito Democratico non aspettavano altro per avere pretesti spendibili per le loro critiche. Che, puntualmente, sono arrivate. Ci si attendeva, però, una adeguata risposta da parte del Presidente del Consiglio. Che, invece, non è affatto arrivata. Per Gentile il Capo del Governo ha fatto sapere che la questione riguarda Angelino Alfano. Per la Barracciu ha lasciato intendere che si è trattato di una compensazione per la mancata candidatura della neo sottosegretaria alla Cultura alla presidenza della Regione Sardegna.

Renzi, in sostanza, non ha fornito una qualche spiegazione “alta” delle sue scelte. Ad esempio, che il Governo intende tenere una linea garantista su vicende del genere piuttosto che cedere alle pressioni giustizialiste. Ha puntato sulle motivazioni di bassa cucina politica. E lo stesso comportamento ha adottato a proposito delle voci che lo vorrebbero “diretta” emanazione di alcuni poteri forti. Accusa che, dopo l’avvisaglia della conversazione telefonica con il falso Nichi Vendola di Fabrizio Barca, ha trovato un nuovo avallo nella vicenda delle Sorgenia di Carlo De Benedetti. Anche in questo caso, infatti, Renzi non ha fornito giustificazioni “forti”. Anzi, non ha fornito alcuna giustificazione. Lasciando così intendere che il Governo non ha solo una vocazione naturale al Manuale Cencelli, ma anche alle forme di attenzione e favoritismo nei confronti degli “amici”.

Terzo, ultimo (almeno per ora) ma più grave caso è poi quello della partecipazione al congresso del Partito Socialista Europeo. Occasione che il nuovo Presidente del Consiglio avrebbe dovuto sfruttare per fornire una qualche anticipazione sul tipo di nuovo rapporto che vorrebbe stabilire con l’Europa, ma in cui Renzi ha dimostrato di non avere alcuna innovazione da proporre rispetto alla tradizionale tendenza dei politici italiani di delegare all’esterno le questioni europee per potersi dedicare esclusivamente alle questioni interne.

Il Presidente del Consiglio, in sostanza, anche se ha fatto aderire il Pd al Pse e ha votato per la candidatura Schulz alla Commissione Ue, si è comportato come i vecchi democristiani post-degasperiani ben felici di poter delegare la politica estera italiana all’esterno per meglio occuparsi dei loro interessi interni. Il ché , per l’uomo dell’innovazione, che non a caso ha mandato una sconosciuta alla Farnesina, non è stato un bel modo per esordire sulla scena internazionale.


di Arturo Diaconale