Renzi vs Grillo Recita elettorale

venerdì 21 febbraio 2014


Sì, è vero, il Presidente del Consiglio in pectore Matteo Renzi avrebbe potuto decidere, una volta capito al volo quale piega avrebbe preso la consultazione con Beppe Grillo, di farlo accompagnare alla porta da un commesso di Palazzo Chigi. Perché (così si è espressa sulla rete la ficcata censura e la raffica di riprovazione per lo show del leader dei grillini) Renzi, rimproverano i più superficiali, è stato relegato nei panni del comprimario o addirittura di inconsapevole spalla. Su quello che avrebbe dovuto essere un colloquio, inoltre, avrebbe alitato, cupa, l’ombra del precedente e fallimentare confronto tra Bersani e Grillo.

Sì, è vero, si sarebbe potuto dire no allo streaming di un incontro istituzionalmente destinato ad affrontare una cosuccia seria come l’appoggio ad un Governo. E che più che una consultazione con un leader di un partito è apparso, dato il tono paradossalmente colloquiale e aggressivo insieme tra i due protagonisti, come una di quelle serrate discussioni pressoché ad una voce che durante gli anni Settanta andavano spesso in scena nelle serate a casa di amici tra sodali-avversari di vecchia data e consumati con un bicchiere di whisky in mano.

Sì, è vero, il duello si è consumato, per volontà di Grillo ma anche bonaria accondiscendenza di Renzi, lungo i saldi binari della contrapposizione tra le categorie assolute del bene e male e tra verità e falsità e secondo una sorta di sceneggiatura tipica dei programmi di Maria De Filippi, che fa strame della dialettica e dell’argomentazione.

Sì, è vero, Grillo ha svelato tutta l’incongruenza di un leader cui la sua base ha chiesto di recarsi a parlare con il Presidente del Consiglio designato e che ha invece condotto il colloquio negando qualsiasi volontà di confronto sui temi proposti da Renzi e puntualizzando di aver ceduto alle sollecitazioni solo per “esprimere la totale indignazione per ciò che tu rappresenti: le banche, i poteri forti, De Benedetti e gli industriali, gente che ha massacrato il Paese” e accusandolo di essere “un giovane ma nello stesso tempo molto vecchio, uno che dice una cosa e poi la smentisce”.

Tutto vero. Così come è altrettanto vero che i grillini tutti sono schizofrenicamente divisi tra l’indossare i panni degli alfieri dell’insulto o quelli dei pacati difensori delle istituzioni, che rivendicano piena autonomia di giudizio rispetto al leader. Ma la politica non può prescindere da qualche goccia di realismo. La prassi per un Presidente del Consiglio in pectore prevede di fare il suo giro di consultazioni con tutte le forze politiche presenti in Parlamento, pur sapendo Renzi benissimo che nessun margine di trattativa ci sarebbe stato per far breccia sul M5S e convincere Grillo a votare l’Esecutivo che entro la fine della settimana si sottoporrà al voto in aula. Tanto più che Renzi non è uscito affatto sconfitto, come si è detto, dal match in cui ognuno ha semplicemente recitato la propria parte a beneficio dei propri elettori.

Grillo, ben più attento alla sua pugnace base elettorale e al ruolo di forza anti-sistema connaturato al movimento che non ai parlamentari dissidenti e critici nei confronti dell’aggressività sfoderata ancora una volta con Renzi, non ha fatto altro che rimarcare la caratteristica dei Cinque Stelle: aver introdotto, pur con metodi discutibilissimi e che tracimano troppo spesso dagli argini del civile confronto e del legittimo ostruzionismo, un’opposizione non consociativa. Novità rilevante in un Parlamento in cui per decenni le opposizioni di sinistra si sono fondamentalmente occupate di contrattare posizioni e cariche di potere, specialmente in Rai e negli enti locali. Ed è ozioso ricordare le dichiarazioni della prima ora provenienti da “Grillology” quando il Verbo a Cinque Stelle imponeva che le proposte dovessero essere votate di volta in volta in ragione del loro contenuto, mentre ora la discriminante è data da chi le fa. Il carattere di miracolati e improvvisatori della politica che connota i grillini non lede, almeno per ora, il loro status di scudieri della protesta e di interpreti del profondo disagio.

La sua parte in commedia, Renzi, al contrario, l’ha recitata tutta in apparente difesa, forse solo impercettibilmente perturbato dal precedente e disastroso incontro Grillo-Bersani che avrebbe dovuto sancire un’alleanza di Governo il cui fallimento segnò invece il De Profundis del mai nato Esecutivo Bersani. Pur avendo toccato palla qualche minuto meno dell’avversario, la sorniona consapevolezza che nel gioco delle parti quella che gli sarebbe toccato interpretare doveva essere, come è stato, “il Responsabile” contro “il Guastatore”, Renzi si è divertito ad assecondare lo show, forte dell’appoggio di Berlusconi, puntellando consapevolmente con inutili cesure affidate a boutades il monologo torrentizio di Grillo. E lasciando al lui, con piglio bonariamente beffardo e canzonatorio, il piacere di confinarlo in difesa e di dirgli sostanzialmente che è un burattino nelle mani dei vari mangiafuoco che ne muovono i fili. Senza però mai esser minimamente sfiorato dalla tentazione di tiragli la giacchetta, né di impegnarsi a batterlo sul piano oratorio. Semplicemente perché non gliene importava assolutamente nulla. Altro che bis del faccia a faccia del suo predecessore con Grillo! L’incontro si è in realtà concluso alla pari, punto.

Stupisce, invece, lo stupore montato sui media e soprattutto in rete per la mancata defenestrazione di Grillo, per la presunta debolezza renziana e per i mille risvolti e le infinite letture medi-analitiche, ma soprattutto la miopia assoluta di chi si è affidato all’incontenibile folata di riprovazione e ai sussulti moralizzatori ma non è stato lambito nemmeno per un istante dal dubbio che i due abbiano favorevolmente cavalcato l’occasione della consultazione per interpretare ciascuno la propria parte, con un occhio rivolto al rispettivo elettorato. Non c’è molto da fare, sulla politica il mondo si divide in moralisti e realisti.


di Barbara Alessandrini