martedì 18 febbraio 2014
È l’aratro della tivù che traccia il solco della politica? Da noi, spessissimo, pare proprio di sì. E chi lo difende? Dipende.
Ma andiamo con calma. Lo spettatore che domenica pomeriggio (giorno della riflessione prima del mitico incarico a Renzi) si fosse messo all’ascolto, avrebbe visto un brillante Giletti gestire il suo spazio di talk- show. Tutto normale, figuriamoci. Tutto animato, si sa. È il giorno della riflessione o no? Fino a che una signora ha tempestato conduttore e condotti con il classico “Talk interruptus” che, da anni, tanti anni, è assurto al ruolo di interprete e suscitatore di quel leggendario deus ex machina che una volta risolveva di colpo le tragicommedie classiche. Applicato nei dibattiti politici televisivi, praticamente tutti, li muta magicamente in un immenso, rumoroso, devastante bar. Un saloon. Sicché Giletti si è giustamente seccato, togliendo la parola alla disturbatrice ricordandole, appunto, “che non siamo in un bar”. Alla buonora, staremmo per dire. Solo che, girando qua e là per l’etere, balzava all’occhio, ancorché provato, l’impressionante contagio del “bar” televisivo, spalmato da mane a sera, sotto specie di talk-show, su ogni emittente con effetti collaterali deprimenti, sia per lo spettatore che, soprattutto, per l’audience.
Come ha segnalato l’ottimo, non sempre ascoltato, Aldo Grasso. Se solo due di questi talk superano il 10% e tutti gli altri finiscono sotto il cinque, a che serve il bar? Allora, meglio la lettura di qualche giornale. E capita, a volte, di imbatterci in interviste - nel nostro caso a Fedele Confalonieri su “Il Giorno” di domenica - che dei talk-show conservano bensì il senso del botta e risposta, ma ne evincono il “senso” smarrito, quello politico, appunto. Sembrerebbe strano che dal presidente Mediaset, nella giornata clou dell’attesa dell’incarico, provenissero parole, a parte il Milan (noi interisti siamo un tantinello faziosi...), capaci di intessere un ragionamento squisitamente politico. Sarà l’esperienza, sarà il buon senso, sarà quel che sarà, non ultima la moderazione innata che tende a semplificare la complessità indicando una strada, e una sola. Che certamente ha la sua legittimazione in un accordo a monte fra Renzi e Berlusconi, che tuttavia resterebbe una radice fragile se non presupponesse uno sviluppo articolato nel sistema, sia di Governo che parlamentare. Il che, seguendo il ragionamento confalonieriano, prescinde da una visione arcaica compromissoria (il compromesso storico fra Dc e Pci era tutt’altra storia), perché pretende non solo il rispetto reciproco fra i due - per il bene comune, del Paese - ma anche quello all’interno di un’area politica del centrodestra di cui il “partito” di Alfano, lungi dal meritarsi contumelie tipiche di una scissione anche dai tratti di rottura personale, va inquadrato in un disegno ricompositorio.
Naturalmente, in una prospettiva di funzionamento del Governo renziano inteso come punto di equilibrio, unico possibile e quindi di servizio, in grado di tenere insieme non tanto o non soltanto sinistra e destra con un accordo codificato, ma i due binari paralleli avviati da quell’accordo del Nazareno, più facilitati allora che Renzi non era Premier e più libero nel dettare agende a Letta e al Parlamento (Senato da sciogliere, compreso) e adesso molto più ardui da tenere insieme senza collisioni catastrofiche.
In politica, quella con la P maiuscola, tutto si tiene, tanto più che, secondo il saggio Fidel, “l’alternativa qual è? Che il signor Scalfari detti la linea? Facciamo rinascere l’aristocrazia? I trenta tiranni di Atene?”. È singolare (ma mica tanto) che il presidente di una grande azienda televisiva italiana evochi una politica, cioè l’unica democrazia possibile lasciando perdere le fantasiose e sloganistiche ricostruzioni golpiste. E le velleità di una medium che pretende di sussumere nei devastanti talk-show l’intera Polis. È la politica - quando e se ha la P maiuscola - che traccia il solco. E Confalonieri lo difende. Hoc erat in votis.
di Paolo Pillitteri