Renzi, il lato debole è il Partito Democratico

sabato 15 febbraio 2014


Il lato debole di Matteo Renzi non è rappresentato dalla difficoltà di dare vita ad un Governo all’altezza delle enormi aspettative che l’“uomo nuovo” proveniente da Firenze ha suscitato. Il prossimo Presidente del Consiglio sa bene che nella società dell’immagine e della comunicazione conta più l’apparenza che la sostanza. E oltre ad essere molto abile nel saper “vendere” l’apparenza come sostanza, può contare sull’appoggio di quei poteri forti che controllano le grandi centrali informative del Paese, che da decenni manovrano a proprio piacimento gli orientamenti prevalenti dell’opinione pubblica.

Almeno nel breve periodo, quindi, Matteo Renzi non avrà problemi nel far compiere al proprio Governo quegli effetti speciali che serviranno a tenere tranquilla quella maggioranza della società italiana che vuole solo affidarsi al potere taumaturgico di chiunque sia sufficientemente nuovo e sufficientemente forte da garantire una qualche speranza per il futuro. Il lato debole del prossimo capo del Governo (e il termine “capo” non è usato a caso) è, invece, il proprio partito. Già, il partito che esprime i massimi vertici istituzionali (Napolitano, Grasso e Boldrini), che è riuscito ad espellere dal Parlamento e azzoppare da un punto di vista giudiziario il suo principale avversario e che è riuscito negli ultimi anni a scaricare sugli italiani tutte le proprie questioni e contraddizioni interne mantenendo, e anzi rafforzando, il proprio ruolo di asse politico del Paese.

Proprio nel momento in cui il Pd liquida il Governo guidato da un proprio rappresentante per sostituirlo con il suo rampante “uomo nuovo” e giunge all’apice della sua potenza, infatti, il partito dimostra di essere caduto in una crisi irreversibile. È difficile stabilire se Renzi sia la causa o l’effetto di questa crisi che coglie il Pd proprio quando maggiore è la sua capacità d’incidenza sul Paese. Ma è un fatto che l’ascesa a Palazzo Chigi dell’uomo nuovo proveniente da Palazzo Vecchio si è svolta all’esterno e nell’ostilità di parte del partito.

E che da adesso in poi le vere difficoltà che Renzi troverà sulla sua strada saranno quelle che potranno provenire dall’interno del proprio partito. Nessuno s’illuda, infatti, della disinvolta semi-unanimità con cui la direzione del Pd ha liquidato Enrico Letta e assecondato lo strappo del proprio segretario.

Quella votazione quasi plebiscitaria è il frutto della paura e dello sconcerto di un partito in crisi profonda. Che per ora non sa come reagire al “renzismo” trionfante ma che, presto o tardi, non potrà non opporsi al cambio di Dna imposto dal segretario. Per rassicurare i propri avversari interni, Renzi ha promesso di andare avanti per l’intera legislatura. Ma i suoi smaliziati nemici sanno benissimo che attraverso l’arma del Governo il Premier cercherà di cancellare il vecchio partito dei postcomunisti e dei postdemocristiani e sostituirlo con il “renzismo” dell’uomo nuovo e solo al comando. Di qui la facile previsione del “fuoco amico” prossimo venturo nei confronti di un Presidente del Consiglio che vuole cambiare il Paese, ma che per farlo deve prima cambiare il proprio partito.


di Arturo Diaconale