Un sistema avvitato ancora su se stesso

mercoledì 12 febbraio 2014


Mentre il teatrino della politica continua ad occuparsi del nulla, un ulteriore dato allarmante è stato divulgato in questi giorni dalla Banca d’Italia. A quanto risulta dagli studi di ricerca compiuti dagli analisti di Palazzo Koch, pubblicati in un bollettino ufficiale, a marzo del 2013 le sofferenze complessive del sistema bancario italiano sfioravano la stratosferica cifra di 250 miliardi di euro. Tanto è vero che nello stesso rapporto, visto il perdurare di una crisi economico-finanziaria senza precedenti, si sostiene che attualmente le relative stime andrebbero viste in forte rialzo.

Ora, a mio avviso, ciò costituisce l’ennesima e palese dimostrazione di un Paese che si sta sempre più avvitando in una spirale, per così dire, debitoria, caratterizzata da una coperta finanziaria sempre più corta. Da questo punto di vista le citate sofferenze bancarie rappresentano una sorta di cassa di compensazione, al pari del colossale debito pubblico, per un sistema che si ostina a voler vivere ben sopra le proprie possibilità. Un sistema delle cicale il quale, a causa di un malinteso concetto di democrazia, ha selezionato una classe politica - rottamatori e grillini compresi - che nella sua generalità continua a raccontare a destra e a manca la favola dei pasti gratis, promettendo infinite redistribuzioni di risorse.

Basta osservare l’atteggiamento dei maggiori esponenti politici di ogni colore sulla questione nodale del deficit di bilancio per rendersene conto appieno. A chiacchiere, infatti, si dimostrano tutti assai critici col già lasco limite del 3% - limite che per la cronaca fu sottoscritto anche dall’Italia col trattato di Maastricht - dichiarandosi pronti a recarsi a Bruxelles con lo scopo di rimetterlo in discussione. Tutto questo, tradotto in soldoni, non significa altro che ulteriore debito pubblico, da sacrificare sull’altare sacro del dogma keynesiano. Ma il problema è, come appunto segnala il dato sulle sofferenze bancarie, che non possiamo più pensare di tirare a campare sulla base di una colossale catena di Sant’Antonio che, in assenza di sostanziali riforme dal lato della spesa pubblica, si basa su una fiscalità sempre più feroce e, nella fattispecie, su un continuo apporto di nuovi prestiti. Solo che da questo punto di vista, come diceva la compianta Lady di ferro, prima o poi i soldi degli altri finiscono e allora, aggiungiamo noi, sono veramente guai seri.


di Claudio Romiti