Le divisioni del Pd penalizzano il Paese

venerdì 17 gennaio 2014


È dall’inizio della legislatura che il Partito Democratico scarica sul Paese le conseguenze delle proprie contraddizioni interne. Il fenomeno è iniziato quando Pierluigi Bersani, pur non avendo vinto le elezioni, ha cercato per settimane e settimane di trovare un’intesa con il Movimento Cinque Stelle che gli garantisse di poter guidare il primo Governo a guida post-comunista scaturito dalle elezioni. Ha proseguito quando lo stesso Bersani ha continuato ad insistere nel suo progetto cercando di spaccare il movimento di Beppe Grillo e trovare scissionisti disposti a fare da gabello ad un Esecutivo targato Pd.

È andato avanti in occasione delle elezioni del nuovo Presidente della Repubblica quando i franchi tiratori interni del Pd hanno liquidato prima la candidatura di Franco Marini e poi quella di Romano Prodi, paralizzando il Parlamento e costringendo Giorgio Napolitano a rientrare al Quirinale per mettere una pezza al buco provocato dalle divergenze politiche dei suoi ex compagni. E la storia non si è esaurita con la rielezione di “Re Giorgio” e neppure con la nascita del Governo di larghe intese di Enrico Letta, ma è andata avanti per tutta la durata della campagna per le Primarie del Pd. Per mesi lo scontro tra Renzi e i suoi oppositori bersaniani e dalemiani ha fatto da alibi e da copertura all’incapacità di un Esecutivo troppo anomalo per essere funzionante.

E anche quando la scissione del Popolo della Libertà è sembrata aver dato maggiore compattezza alla coalizione governativa, ancora una volta le vicende interne del Pd, con la vittoria plebiscitaria di Renzi e la ritirata dei suoi oppositori, si è scaricata su un Governo composto in gran parte da mediocri e guidato andreottianamente da chi, però, non è Andreotti.

Ora il fenomeno si ripete in maniera addirittura clamorosa. La sollevazione dell’opposizione interna contro il segretario Matteo Renzi, accusato di voler trovare un accordo con il “pregiudicato” Berlusconi per fare una legge elettorale non solo d’impianto bipolare ma anche capace di assicurare allo stesso segretario il controllo dei futuri gruppi parlamentari del partito (sistema spagnolo ), torna ancora una volta a scaricare sul Paese le divisioni e le contraddizioni interne del Pd.

Può essere che Renzi, sulla spinta del successo nelle Primarie, riesca a superare l’ostacolo. Ma se mai dovesse riuscirci in questa fase, se lo ritroverà di fronte nuovamente nel futuro. Perché al fondo della grande divisione del Pd, quella che si riverbera tragicamente sul Paese, c’è la divergenza mai risolta tra i fautori del bipolarismo e della democrazia dell’alternanza ed i sostenitori dell’egemonia post-comunista da realizzare attraverso il ritorno ad un sistema politico simile a quello della Prima Repubblica ma ruotante attorno al Partito Democratico.

In fondo la divisione di oggi è la stessa che negli ultimi vent’anni ha alimentato il duello infinito tra Veltroni e D’Alema, con il primo deciso di portare avanti la propria visione del partito a vocazione maggioritaria all’interno di uno schema bipolare e bipartitico, ed il secondo tenacemente e testardamente fermo all’idea di un ritorno al proporzionalismo per fare del Pd, erede del Pci, la Democrazia Cristiana del terzo millennio. Queste dure posizioni, oggi rappresentante da Renzi e, dietro Cuperlo, dall’eterno D’Alema, non sono conciliabili. E le conseguenze di questa inconciliabilità sono destinate a scaricarsi sul Paese fino a quando non si verificherà una salvifica scissione!


di Arturo Diaconale