L’Europa e la “Clausola
della libertà preferita”

giovedì 16 gennaio 2014


L’Unione Europea poggia su un mucchio di trattati, convenzioni, accordi, protocolli, un labirinto di documenti in cui si perdono gli stessi governanti dell’Unione e degli Stati. Una sequenza di patti, direttive, regolamenti ha abbattuto le barriere doganali e standardizzato molte attività. Persone, beni, servizi, capitali circolano liberamente nel mercato comune. Ormai non possiamo non dirci europei. Eleggiamo un Parlamento rappresentativo, ma quasi ornamentale, lontano e misterioso.

Siamo amministrati da una Commissione esecutiva, ma goffa e inabile. Usiamo una moneta unica, che tuttavia non unifica e non seduce. Non esiste la cittadinanza europea, se non come espressione formale e iscrizione sui passaporti. Non disponiamo di istituzioni dove esprimere compiutamente la nuova condizione. L’Europa permane incompiuta, in bilico tra l’implosione e la federazione. Vengono invocate una vera Costituzione politica dell’Unione e una Carta delle libertà degli Europei. Ma è improbabile, se non impossibile, aspettarsele da un’assemblea costituente eletta a suffragio universale dai popoli europei, per quanto l’integrazione mediante trattati rappresenti un avanzamento freddo, che non infiamma i cuori di chi dovrebbe innamorarsene.

Eppure non si tratta di far “tabula rasa”. Esistono in Europa libertà e diritti che devono essere salvaguardati e tramandati. Purtroppo sono distribuiti in ordinamenti disomogenei che possono essere unificati solo a colpi di bacchetta magica. Pertanto una Carta costituzionale del tipo invocato potrebbe rivelarsi superflua o addirittura dannosa, mentre, perché sia davvero utile, bisogna configurarla come Costituzione aperta, capace di accrescere la libertà nei suoi potenziali sviluppi.

Insomma, una Costituzione che inglobi automaticamente e dinamicamente il meglio di ciascuna nazione in termini di diritti di libertà. Per ottenere questo risultato, che sarebbe straordinario, non serve una lunga Carta, che, anzi, potrebbe essere controproducente. Basta, al contrario, una semplice quanto sbalorditiva disposizione, che provochi la concorrenza tra sistemi e soggetti giuridici, determinando la progressiva espansione della sfera protetta delle libertà economiche, civili, politiche. Per sintetizzarne il principale carattere, amiamo definirla “clausola della libertà preferita”.

In primo abbozzo, l’abbiamo concepita così: “Ogni cittadino di uno Stato dell’Unione Europea potrà invocare davanti a un giudice, in qualsiasi situazione e senza restrizioni, nel proprio Stato e nei rimanenti Stati, i diritti più favorevoli riconosciuti da ciascun altro Stato ai suoi cittadini”. Questa clausola dovrebbe essere inserita nelle costituzioni degli Stati membri o da essi ratificata come trattato. La libertà, non l’euro, è il blasone d’Europa.

Sebbene sia vero che senza soldi non si cantano neppure le messe, la salvezza dell’Unione non dipende dalla moneta. L’europeismo, sorto per pacificare ed unire le nazioni di un continente dilaniato da secoli di guerre, langue e rifluisce in un federalismo localistico e antinazionale. L’Unione, che pure ne è il collante, sta frantumando come un maglio molti degli Stati che vi appartengono. L’Italia, fondatrice dell’Europa unita, non si sarebbe mai aspettata di ricavarne disunione. Tuttavia è concentrata sui problemi finanziari, non sulla questione politica.


di Pietro Di Muccio de Quattro