giovedì 9 gennaio 2014
È comprensibile che il Nuovo Centrodestra si batta strenuamente per la propria sopravvivenza e metta il veto su una riforma elettorale ispirata al modello spagnolo. Se passasse il sistema esistente in Spagna i partiti minori non riuscirebbero ad eleggere un solo rappresentante in Parlamento. E poiché il Nuovo Centrodestra è uno dei partiti minori destinati alla scomparsa nel caso di adozione del modello spagnolo, il suo veto è fin troppo giustificato. Ciò che invece si giustifica meno è la motivazione che il Nuovo Centrodestra dà alla sua preferenza per il cosiddetto modello del sindaco d’Italia.
I dirigenti del partito di Angelino Alfano, infatti, sostengono che la seconda delle tre proposte avanzate da Matteo Renzi (la terza è il Mattarellum corretto con quota maggioritaria) deve essere preferita alle altre perché è condivisa dai partiti della attuale maggioranza e, oltre ad assicurare il bipolarismo, garantisce la sopravvivenza del governo almeno per tutto il 2014. Secondo il Nuovo Centrodestra, in sostanza, la tenuta dell’Esecutivo Letta costituisce una priorità talmente assoluta da subordinare ad essa la scelta del modello elettorale che dovrebbe assicurare la stabilità e la rappresentatività politica del Paese negli anni futuri.
Questa posizione presta il fianco ad alcune osservazioni critiche. La prima e più immediata è che stabilisce un’innaturale ed ingiustificata identificazione tra sopravvivenza del governo delle piccole intese e stabilità del sistema politico nazionale. Come a voler dire che dopo questo Esecutivo non ci sarà (o sarebbe) altro che il caos e fissare il principio della inamovibilità dell’asse Letta-Alfano. La seconda, più significativa, è che il modello elettorale del sindaco d’Italia non è formato solo dall’adozione del doppio turno di collegio ma anche dall’elezione diretta del Capo del Governo. Cioè da un passaggio dal sistema parlamentare ad un sistema presidenziale o semipresidenziale da realizzare non con una semplice riforma elettorale, ma con una profonda riforma costituzionale.
Il ché comporta in primo luogo tempi parlamentari lunghi ed incerti. Ma, soprattutto, una vera e propria rivoluzione culturale all’interno di quella sinistra che fin dai tempi prima di Pacciardi, poi di Craxi ed infine di Berlusconi, si è sempre battuta per la difesa ad oltranza della centralità del Parlamento contro ogni ipotesi di presidenzialismo considerato l’anticamera di ogni possibile avventura autoritaria. Che i dirigenti del Nuovo Centrodestra possano essere a favore dell’elezione diretta del Premier e del passaggio dal parlamentarismo al presidenzialismo è possibile. Per loro non si tratterebbe di una conversione improvvisa, ma della conferma di una posizione più volte sostenuta al tempo della loro presenza nel Popolo della Libertà.
Ma se vogliono il sindaco d’Italia perché favorevoli al presidenzialismo del modello francese, perché non lo dicono apertamente? E anzi non incentrano su questa motivazione forte (e non sulla più debole questione della tenuta del governo Letta) la loro posizione sulla riforma elettorale ed il loro veto al sistema spagnolo? Il sospetto è che non lo facciano per non far emergere in questa fase l’impossibilità di realizzare nell’attuale legislatura una riforma così profonda. E, di conseguenza, la strumentalità di una posizione che nella realtà punta solo ad impantanare ogni spinta per una sollecita approvazione della riforma elettorale. Ma il Paese può restare paralizzato in attesa che il Nuovo Centrodestra, attraverso la sopravvivenza del governo Letta, possa assicurarsi la propria sopravvivenza?
di Arturo Diaconale