mercoledì 8 gennaio 2014
Come si diceva una volta: agitare la clava politica sul capo dell’avversario per farlo scendere a più miti consigli. Poteva essere, la clava, la questione morale oppure la riforma della Costituzione (più bella del mondo!) oppure, appunto, le elezioni anticipate a maggio, con le Europee, e con una legge elettorale nuova da fare illico et immediate. Da fare con chi? Il ministro Quagliariello, particolarmente silente proprio in simili frangenti, ha biascicato umilmente una predilezione per il cosiddetto sindaco d’Italia, riforma peraltro ripetuta gioiosamente da Renzi prima del plebiscito (sì, perché c’è un Renzi di prima e uno di dopo il plebiscito).
Mentre Renzi ha rotto gli indugi e ha buttato la riforma oltre il cerchio magico governativo stabilendo un assist con Berlusconi, posto che con Grillo non vale neppure la pena bersi un caffè. L’asse fra Renzi e il Cavaliere tramite Verdini, con Brunetta che suona la carica dei seicento tutte le mattine che Dio manda, e il leitmotiv è sempre quello: basta con Letta, a casa Saccomanni, Alfano ritorna, Lupi vattene ecc., prevede dunque le elezioni anticipate a maggio, almeno da parte di Brunetta e del Cavaliere, che lo testimoniano tutti i giorni.
Quanto a Renzi, è inutile tacerlo: la sua corsa fra una sveglia alle sette e mezza, i panini di Eataly e una foto di gruppo volutamente sotto una vistosa scritta “Renzi” ispirata ai modelli immaginifici di Leni Riefenstahl, il suo animato e animoso muoversi - vedi la non casuale battuta su Fassina accompagnata da una valutazione positiva degli incontri “riformatori” con Berlusconi avviati dalla Boschi - ebbene tutte queste mosse indicano una certa fretta del plebiscitato segretario, in funzione del voto anticipato. E c’è da capirlo, il buon Renzi. Sa che fare il segretario del Partito Democratico è un mestiere usurante e anche un po’ noioso, nonostante il plebiscito delle Primarie; Renzi sa anche che nella vita politica l’attimo fuggente è come un autobus di notte, perso il quale sono cavoli acidi.
Sa, da figlio di democristiano, che l’ora o mai più che rimbomba nella sua testa da dopo il plebiscito (rieccolo!) risuona, ma con note diverse, anche nella testa di chi sta al governo, che è pure democristiano come lui, anzi più di lui. Perché Enrico Letta, di cui sì è avvertito un certo assordante silenzio in questi frangenti di iperattivismo renziano, non mostra alcuna fretta nel confrontarsi col suo segretario mostrando sovrana indifferenza alle piccolezze del mondo politico, come le dimissioni di Fassina, non raccogliendo inviti a qualsiasi rimpasto, parola peggiore di una bestemmia, respingendo le cannonate di Brunetta quasi si trattassero di soffici piume e, semmai, mandando a dire ai focosi dirigenti renziani che è rischioso trattare col Cavaliere.
E difatti qualche rischio c’è. Il Cav, per antonomasia, tratta soltanto se gli conviene: bicamerale docet. A parte il fatto che sta mettendo a punto (si fa per dire) un partito che sì è dissolto e i cui resti somigliano a quei tratti di gloriosi acquedotti di Roma antica che non si sa da dove partono e, soprattutto, dove arrivano se non in mezzo all’Agro Pontino. Non solo, ma il Cav non sa bene come funzioni il sistema spagnolo accarezzato dai renziani, e forse nemmeno loro lo sanno. Entrambi, renziani e berlusconiani, accarezzano due disegni affatto contrastanti: Renzi, avvicinandosi al Cav, pensa di portargli via voti moderati che gli mancano; il Cavaliere, al contrario, si tiene stretto Renzi come avversario privilegiato perché lo scontro fra i due lo agevola e vivifica e, male che vada, annullerebbe comunque Alfano.
Il fatto è che per il sistema spagnolo vagheggiato come un toccasana (e forse non lo è) si tratta, tra l’altro, di riscrivere centinaia di circoscrizioni piccole introducendo di nuovo un premio di maggioranza su cui la Corte vigila occhiuta. Eppure, è tutto un dichiararsi di affettuosi sensi fra il Cav e Renzi, fra la Boschi e Verdini. Il che ringalluzzisce il Cavaliere, rilegittimato istituzionalmente da un Renzi che, così facendo, lavora a marginalizzare Alfano mettendo in difficoltà Letta: un’operazione doppia, non poco gradita a Berlusconi. E Letta? E Alfano? E Casini, Monti, ecc.? L’impressione è che Letta, freddo e distante, algido e imperturbabile, incapace di lacrime e di sorrisi, quasi un Blade Runner post-doroteo, lasci fare, usando la tecnica, dorotea appunto, del non reagire, non impuntarsi, del cedere arrendevolmente, dell’arretrare sorridendo pur concordando ma, soprattutto, consapevole che il fattore tempo lavora per lui, non per Renzi.
Ipotizzare, come sta facendo Renzi, accordi rapidi e ultimativi entro una settimana, una legge elettorale per marzo, il voto a maggio con le Europee, è ,in politica, un bel sogno. E Letta, l’algido sul cui volto mai nessuno ha scorto una lacrima, sia pure furtiva, fa come il generale Kutuzov. Lascia che Napoleone avanzi, e avanzi ancora e ancora. Poi ci penserà il generale inverno. Letta come Kutuzov? Chissà. E Renzi come Napoleone? Ma prima di Austerlitz o prima di Waterloo, si chiedeva coprendo la bocca col ventaglio, Talleyrand.
di Paolo Pillitteri