Renzi, rimpasto e veltronizzazione

martedì 31 dicembre 2013


I più ottimisti sostenitori di Enrico Letta ipotizzano che il rimpasto potrebbe risultare indolore per il governo operando solo alcuni, pochi e ben calibrati ritocchi alla compagine ministeriale ispirati alle regole del vecchio ma sempre attuale Manuale Cencelli. Basterebbe distribuire a qualche renziano ed a qualche montiano i posti di sottosegretario lasciati liberi dai berlusconiani e assegnare il ministero dello Sviluppo di Lupi a qualcuno di Scelta Civica rimasto fedele all’ex Presidente del Consiglio. E il gioco sarebbe fatto.

Perché Lupi andrebbe ad occupare la casella di segretario del Nuovo Centrodestra che verrebbe lasciata libera da un Angelino Alfano finalmente liberato dalla singolare condizione di essere uno e trino (leader, vicepresidente del Consiglio e ministro dell’Interno). I montiani sarebbero accontentati con un ministero di media importanza senza creare problemi con i popolari di Mauro e l’Udc di Casini. Ed i renziani potrebbero incominciare ad assaggiare da sottosegretari la torta governativa, in attesa di conquistare alla fine del 2014 l’egemonia sull’intero governo. Sulla carta il disegno non fa una grinza.

Nella realtà, però, si scontra sulla fondata preoccupazione del nuovo segretario del Partito Democratico, Matteo Renzi, di fare la stessa fine di Walter Veltroni che, eletto segretario con primarie a furor di popolo, venne progressivamente impastoiato dal gruppo dirigente del partito perdendo in pochissimo tempo il suo iniziale slancio vitale. Il “rimpastino” alla Cencelli maniera, come ai tempi della Prima Repubblica, dimostrerebbe in maniera inequivocabile che la spinta propulsiva di Renzi si sarebbe esaurita molto prima di quella di Veltroni. E il segretario del Pd si ritroverebbe ad affrontare il banco di prova delle elezioni Europee con le ali già appesantite dal piombo di un’operazione vecchio stile in aperta contraddizione con il proprio e tanto decantato stil novo.

Il sindaco di Firenze può permettersi di iniziare il proprio percorso di leader innovatore della sinistra italiana con questo passo indietro verso i bizantinismi e le ritualità di una Prima Repubblica da lui stesso considerata ormai fuori tempo? La risposta, scontata in partenza, è arrivata immediatamente. Renzi ha escluso ogni tipo di rimpasto. E in questo modo ha reso sempre più evidente che la sopravvivenza del governo Letta è alternativa al normale sviluppo della sua segreteria. Se dura il primo, il sindaco di Firenze viene “veltronizzato”. Se il secondo sfugge alla “veltronizzazione”, la sopravvivenza dell’Esecutivo diventa inevitabilmente breve. Per rompere questa spirale molti pensano sia possibile un cambio di passo sul terreno delle riforme. A partire da quella elettorale.

Ma anche in questo caso l’interesse del Presidente del Consiglio di trovare prima un’intesa di maggioranza si scontra con l’interesse del segretario del Pd di centrare il primo obiettivo del proprio programma realizzando con l’indispensabile consenso delle opposizioni una legge di impianto maggioritario chiusa ad ogni istanza proporzionalistica. E allora? La conclusione più probabile è che Renzi impedisca il rimpastino. Che il mancato ottenimento del riassetto degli equilibri governativi metta in forte fibrillazione i montiani. E che alla fine il “lavoro sporco” di liquidare il governo Letta venga compiuto proprio da Scelta Civica con la benedizione nascosta di Renzi e la promessa di un adeguato compenso in occasione delle inevitabili elezioni anticipate.


di Arturo Diaconale