sabato 21 dicembre 2013
Non v’è dubbio alcuno che Renzi sia uno dei pochissimi leader emersi alla fine di questo ventennio di macerie dovute, peraltro, alla mancanza o deficienza di veri statisti, in compenso surrogato da non meno leader. Basti dire che dal 1993 al 2013 si sono visti dei leader in giro per l’Italia, abbiamo assistito a formidabili campagne elettorali e strepitose vittorie ma, subito dopo, a prove di Governo quanto mai deficitarie. Erano arrivati i leader, i condottieri bravissimi nel marketing tv, molto meno nella gestione del Paese e, soprattutto, nell’indicarci un orizzonte, una mission e un profondo rinnovamento.
Bisogna anche dire, a proposito del nuovo leader del Partito Democratico, quel Renzi che ha strabattuto i concorrenti alle Primarie dopo la lunga corsa all’indomani della sconfitta con Bersani, che la stoffa della guida di un partito e, probabilmente, di un Governo, ce l’ha. Non a caso scriviamo “probabilmente” data la distanza fra partito e Governo che, per l’appunto, è quanto fa la differenza fra leader e statista. Si vedrà, ma una via, una strada maestra per Renzi, qualora volesse avanzare di grado, salire nell’empireo degli uomini di Stato, c’è, o potrebbe esserci. Dove e quando? Là dove Renzi si accorgesse che sta scivolando nella palude politichese, nelle sabbie mobili delle riunioni di vertice, nel pantano dei rinvii. E ciò accadrà, perché questa è la politica italiana: rinvii, commissioni, rimandi, rimbalzi dove vale l’eterna massima: chi va per questi mari, questi pesci piglia.
Prendiamo la riforma elettorale come banco di prova. Da quanto se ne sa, Renzi sta trattando con Verdini ma anche con Letta e pure con Alfano per interposto Letta e, perché no, con lo stesso Grillo. È un percorso obbligato perché la riforma elettorale deve avere un ampio consenso, diversamente dal famigerato “Porcellum” che fu approvato a maggioranza producendo una maggioranza di guai alla politica. Ma è già un percorso ad ostacoli, pieno di trappole e soprattutto di rinvii, rimandi, passaggi di mano, di commissione in commissione, di vertice in vertice. Aver fissato al Governo in gennaio un termine primo per un giudizio di merito alla riforma sarebbe forse segno di pragmatismo se non fosse per la compresenza, nei prossimi 40 giorni, di altre mirabolanti leggi, tipo il piano del lavoro, art.18 non più totem o tabù - do you remember Cofferati? - da far tremare i polsi.
Mettere d’accordo tre poli l’un contro l’altro, Grillo, Renzi e Berlusconi tenendo magari fuori il polo governativo di Letta & Alfano è un’operazione quasi impossibile, a cominciare dal fatto che si vuole fare una legge comunque bipolare quando il sistema è tripolare e qualsiasi legge maggioritaria non riuscirà mai a dare una stabilità, a cominciare dal “Mattarellum”, ma anche da quella del sindaco. Ed eccoci al punto: se Renzi cominciasse a ragionare su questi dati di fatto, potrebbe prepararsi un via di uscita non appena si profilassero le sabbie mobili in cui rischierebbe di affossarsi la sua figura di leader intelligente.
E la via è quella di rovesciare il tavolo dei vertici, dei cincischiamenti, dei rinvii e delle trappole. Cari amici, caro Grillo, caro Cavaliere, caro Angelino e carissimo Letta: basta con questa storia, non ne verremo mai a capo e si finirà col far trionfare i forconi, altro che i pentastellati. Oggi stesso mi reco da Napolitano e gli chiedo di sciogliere le Camere e di andare al voto subito col voto proporzionale voluto dalla Suprema Corte con la sua sentenza. Il Parlamento che ne uscirà sarà rappresentativo di tutta la politica italiana, di tutte le sue sfumature e sensibilità e perciò diventerà la nuova Camera Costituente per la nuova Costituzione. Se così sarà, Renzi, votando a maggio, avrà fatto il salto all’insù. Da leader diventerà uomo di Stato. Uno dei pochi.
di Paolo Pillitteri