venerdì 20 dicembre 2013
Sarà pure corretta da un punto di vista giuridico la decisione del Tribunale di Milano di vietare a Silvio Berlusconi di partecipare alla riunione di Bruxelles del Partito Popolare Europeo. E sarà pure legittimo che il Csm abbia promosso un’azione a tutela della magistratura per impedire che il leader di Forza Italia continui a dichiararsi vittima di quattro colpi di Stato perpetrati da pezzi del sistema giudiziario in concordo con pezzi del sistema mediatico e di quello politico.
Ma è un fatto incontrovertibile che impedire ad un leader politico di partecipare ad una riunione del proprio partito di riferimento continentale in una città che si trova sul territorio dell’Unione Europea e pretendere di impedire allo stesso leader politico di muovere critiche politiche nei confronti di chi considera responsabile di aver alterato le regole della democrazia, costituisce agli occhi della parte di opinione pubblica nazionale ed europea che si riconosce in quel leader una limitazione pesante alla libertà di movimento e di espressione non solo del leader stesso ma soprattutto di chi la pensa come lui. Si dirà che Berlusconi è un condannato. E come tale deve sottostare alle leggi del proprio Paese come chiunque si trovi nelle sue stesse condizioni.
E si ripeterà per l’ennesima volta che le accuse che muove a pezzi della magistratura non sono critiche ma aggressioni che minano la credibilità e la sacralità della magistratura intera. Sarà pure tutto vero. Ma questa presunta verità sbandierata da una parte viene intesa come un’insopportabile offesa alla libertà ed alla democrazia dalla parte opposta. E poiché questa parte opposta è formata da almeno il trenta per cento dell’opinione pubblica del Paese e da una fetta consistente (se non maggioritaria) dell’opinione pubblica europea, la faccenda non può essere considerata come un fatto privato che riguarda un pregiudicato ed i suoi cari, ma come un fatto politico dalle forti conseguenze all’interno e all’esterno del Paese.
All’interno, quel trenta per cento di opinione pubblica che si sente solidale con il Cavaliere trova nelle decisioni del Tribunale di Milano e del Csm la conferma sulla persecuzione giudiziaria nei confronti di Berlusconi. Una persecuzione che non è solo personale, ma che si riverbera su tutti i suoi elettori trattati di fatto come soggetti a rischio di concorso esterno con il grande pregiudicato nazionale. In questo modo non solo la cosiddetta pacificazione diventa una chimera, ma si perpetua ancora una volta una spaccatura che produce ed alimenta artificiosamente un clima da guerra civile ormai insopportabile. La conseguenza più significativa, però, si verifica all’esterno.
Perché impedire a Berlusconi di andare a Bruxelles non significa, come vorrebbero i giustizialisti nostrani, dimostrare che l’Italia sa punire i condannati. Significa accendere un faro a livello europeo ed internazionale sulle condizioni della democrazia italiana. Perché qualcuno può incominciare a chiedersi che tipo di democrazia sia quella in cui dopo vent’anni di iniziative giudiziarie di ogni genere nei confronti di chi è stato capo del Governo per dieci anni e capo dell’opposizione per gli altri dieci, si limita la libertà di movimento e di espressione di questo leader a causa di una condanna per evasione fiscale.
E perché questo qualcuno non può non rilevare come considerare aggressione da condannare (anche penalmente) qualsiasi critica politica sia un comportamento non da democrazia liberale e stato di diritto ma da regime autoritario di vecchio o di nuovo stampo. Il Presidente della Repubblica che tanto tiene all’immagine dell’Italia all’estero farebbe bene a porsi il problema!
di Arturo Diaconale