giovedì 19 dicembre 2013
Matteo Renzi come Blair? Il nuovo segretario del Partito Democratico come Clinton? Il sindaco di Firenze come Schröder? Nient’affatto. Per la semplice ragione che mentre Blair, Clinton e Schröder crearono il loro successo elettorale con programmi capaci di conquistare larghe fette di elettorato moderato, Renzi punta a fare l’esatto contrario. Cioè a confermare che il Pd rimane un partito saldamente di sinistra e vuole allargare la propria base elettorale conquistando gran parte del voto confluito alle ultime elezioni sul Movimento Cinque Stelle di Beppe Grillo. Lo scontro tra Renzi e Grillo è destinato ad essere il tema dominante dei primi mesi del prossimo anno.
Le avvisaglie si sono già avute con l’Assemblea Nazionale del Pd. Con Renzi che ha dato del buffone a Grillo e con quest’ultimo che ha replicato definendo “scoreggina” lo scambio tra legge elettorale e rinuncia ai finanziamenti proposto dal segretario del Pd come base per un accordo tra le due forze politiche. Ma il meglio (che poi sarebbe il peggio almeno in termini di trivialità) deve ancora venire. Perché il programma tutto di sinistra di Renzi, dallo jus soli alle unioni civili, dal salario minimo garantito alla legge elettorale per fare del Pd il dominus della politica nazionale, indica che la linea strategica scelta dal nuovo leader della sinistra non è quella di strappare voti alle varie componenti del centrodestra, ma di recuperare i voti usciti a suo tempo dal Partito Democratico e finiti nelle braccia del comico populista genovese.
Nei prossimi mesi, quindi, mano a mano che la data delle elezioni europee si farà più vicina (sempre che nel frattempo la maggioranza di governo non collassi aprendo la strada al voto anticipato) la conflittualità tra Renzi e Grillo non potrà che aumentare raggiungendo facilmente, viste le premesse, punte di scurrilità sicuramente divertenti. È difficile stabilire se nel compiere questa scelta strategica Renzi abbia calcolato costi e benefici dell’operazione. Per il momento il nuovo segretario del Pd sembra più preoccupato di sfornare battute che di riflettere sulle loro conseguenze politiche. Ma se il beneficio dell’offensiva anti-Grillo può essere quello di recuperare almeno una parte dei voti fuggiti dal recinto della sinistra, il costo dell’operazione si prospetta decisamente alto.
Perché se da un lato Renzi vuole svuotare il bacino di Cinque Stelle deve necessariamente sostenere il Governo Letta nell’attuazione di almeno una qualche misura concreta contro la crisi. Dall’altro deve necessariamente cercare di realizzare una legge elettorale che, fissando in maniera indelebile lo schema bipolare, costringa gli elettori di Grillo a scegliere tra il voto utile per il Pd o l’isolamento anti-sistema del Movimento Cinque Stelle.
Ma come arrivare ad una legge elettorale del genere se all’interno della attuale maggioranza esistono partiti come quelli di Alfano, Casini e Mauro che rimangono aggrappati a qualche forma di proporzionalismo per non subire la sorte dei vasi di coccio tra quelli di ferro? La risposta rimette in pista Silvio Berlusconi. Se Renzi vuole una legge bipolare per sconfiggere Grillo deve trattare necessariamente con il Cavaliere. Che, cacciato dalla porta, rientra fatalmente dalla finestra e continua ad essere determinante per la politica nazionale.
di Arturo Diaconale